ORS-PIL
Sueños de perro (2004)
Guillermo Orsi è
considerato uno dei tre maggiori esponenti della novela negra argentina contemporanea (gli altri sono Ernesto Mallo
e Raul Argemi). E Sueños de perro è
effettivamente un buon libro. Un detective involontario (il tassista Sebastián
Mareco) cerca di scoprire chi ha ucciso il suo amico El Chivo Robirosa,
ex-giocatore di rugby diventato ricco e famoso giocando in Italia (sic!).
Passiamo in mezzo a narcotrafficanti, malviventi vari, abbiamo una prostituta dal
cuore d’oro e un poliziotto spregevole, ma onesto. Tutto regolare. C’è una sola
cosa che non mi convince. Ogni volta che si presenta l’occasione, Orsi cerca di
farti sapere quel che pensa del mondo, della situazione delle nostre scuole,
della viabilità cittadina, del periodo della dittatura, del periodo della
post-dittatura ecc... Il che è lecito. Il problema è che sembra sempre un po’
uno sfogo che solo a tratti s’amalgama col resto. Orsi ce l’ha col mondo, ma
non è detto che sia interessante saperlo. Come direbbero gli inglesi:
“Guillermo, your objections are duly noted”. Che in italiano si traduce con
“abbiamo capito, ma non ce ne frega nulla”.
Pasado perfecto (1991) – Vientos de Cuaresma (1994) – Adios,
Hemingway (2001)
Per leggere i
libri del cubano Leonardo Padura conoscere il castigliano e fumare sigarette
può essere utile, ma non basta. Solo chi fuma sigari, infatti, può capire cos’è
una breva, un puro, cos’è una capa, una
marquilla, un Davidoff 5000 Gran
Corona da 14,2 centimetri, cosecha de
Vueltabajo, 1988. Il solo inconveniente è che il fumatore di sigari è il
maggiore Rangel. Mentre il protagonista invece è il suo sottoposto, il tenente
Mario Conde, uno che si fa un litro di rum a sera, due duralgina la mattina e
che la notte la passa in mezzo agli incubi. E fuma due stupidissimi pacchetti
di sigarette al giorno, maledizione! A parte questo è simpatico e
l’ambientazione è ovviamente da favola. Un’altra cosa che s’impara leggendo i
libri di Padura è il verbo templar,
che è l’equivalente del verbo coger.
Che a sua volta è l’espressione che gli argentini usano al posto di follar. Che è quel che si dice in Spagna
quando si vuole dire... insomma avete capito, no?
The Haunted Hikikomori (2011)
Hikikomori è il
termine che i giapponesi usano per indicare quelli che si rinchiudono in casa e
non mettono il naso fuori neppure per comprare la pizza (se la fanno consegnare
a casa). Jared è uno di questi, è un “murato vivo”, uno che compra tutto via
internet e che vive da solo con l’unica compagnia di un’amica immaginaria.
Bionda, l’amica. E non mora come Sara, la donna che l’ha lasciato e poi è morta
e che continua ad affiorare per casa come un rimosso esorbitante, che apre e
chiude la doccia a sproposito, che si dimentica aperte le finestre, che lascia
tracce di passi umidi uscendo dalla doccia. Tutto questo va bene. Però, uno
arriva a metà libro e si domanda come possa andare avanti una storia così.
Bella, intelligente, scritta bene, ma basta! A quel punto, a metà libro circa, Jared
si prende una coltellata nella pancia (reale, non immaginaria) ed è lì che
comincia la storia di Melissa. Una che insegna arpa all’Accademia, ma appena
può torna a casa, nella sua nuova casa, perché anche lei ha qualche disturbo
della personalità, anche lei vive sola con un amico immaginario. Anche a lei
capita di aprire la doccia a sproposito e di lasciare le sue impronte umide sul
pavimento. Se leggendo questo riassunto che v’ho fatto non vi sono ancora
venuti i brividi, vuol dire che mi sono spiegato male.
Un chien écrasé (1953)
Prima di Simonin
e di Le Breton, André Piljean già scriveva di malviventi del milieu, di bourres (sono i poliziotti), di flingues
(sono le armi) ecc... Un chien écrasé è
la storia di un vendicatore riluttante. François Traschi esce dopo sette anni
di galera e scopre che gli rubato la donna e anche il bottino (le pognon, le magot), ma non sembra così
ansioso di farsi giustizia. Poi, sapete come vanno queste storie... A Cocteau
piacevano i romanzi di Piljean. Diceva che era uno di quegli eroi oscuri della
letteratura, convinti di scrivere della spazzatura di serie B, che invece
proprio in quella serie B si dimostrano maestri. “...[C]royant tirer à la ligne
pour gagner leur croûte, [ils] font merveille sans le savoir”, scrive. E fa
pure l’esempio di Fantômas. “Les
auteurs [Allain et Souvestre] voulaient convaincre, Apollinaire et moi, de ne
pas lire ces sottises, écrites de la main gauche. Hélas, leurs oeuvres, écrites
de la main droite, ne valaient rien”. Subito dopo dice una sciocchezza
colossale: “[Piljean] avait été stupéfait par mon admiration. Il est mort à
vingt-huit ans. Je l’ai appris par une lettre de sa femme. Il avait murmuré à
son lit de mort: «Previens Jean Cocteau»”. Naturalmente Piljean è morto a
quarantadue anni e non a ventotto, ma come fai a togliere ai francesi la
retorica del genio strappato anzitempo alla gloria e alla cultura? E poi com’è
possibile che, nel parlare di uno scrittore che ti piace, l’unica cosa che ci
tieni a dire è che in punto di morte quello ha pensato a te? Plus narcissique que ça, tu meurs!
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