sabato 2 maggio 2015

Libri letti ultimamente GIA-HOW




GIA-HOW



Giardinelli, Mempo
Luna caliente (1983)

Non si fa fatica a capire come mai questo libro sia piaciuto a quel vecchio porco di Vicente Aranda (al punto da farne un film nel 2009). Ramiro Bernárdez è un giovane dottore che una sera violenta una bambina di tredici anni di nome Araceli. Certo lei è un po’ puttana e poi c’era la luna... Non contento d’averla violentata, la picchia e la lascia per morta nel suo letto. Come se non bastasse, la notte stessa ammazza il padre di lei, alcolista e rompicoglioni, con l’idea di scaricare su di lui la morte della ragazza. Poi torna a casa e si mette a dormire. Dopo appena qualche dozzina di pagine ci ritroviamo dentro un perfetto incubo maschile. Ma è tutto troppo facile. Stupro, omicidio, fuga, tutto avviene come in un sogno. Anche perché poi la ragazza non è morta e la mattina dopo si presenta a casa di Ramiro. Inestinguibile come un desiderio. E ne vuole ancora. Naturalmente il nostro viene sospettato dell’omicidio, ma, come gli spiega il poliziotto (e come capita in ogni intreccio kafkiano), c’è un modo per uscirne puliti. Un modo semplice semplice. Lui deve soltanto confessare e loro gli assicurano la completa impunità. Noi stiamo costruendo una nuova Argentina (siamo all’epoca della dittatura), dice il poliziotto, e contiamo su persone come lei per questo. Sarebbe una via d’uscita facile, ma Bernárdez ne sceglie una più facile ancora. Scappa all’estero. Va a vivere in un albergo. E qualche giorno dopo gli dicono dalla reception che c’è una che chiede di lui. Una ragazza giovane. Casi una niña. È ancora lei. Il suo revenant. Il suo chiodo fisso. Inestinguibile come una sete.
É probabile che a una donna questo libro faccia un effetto completamente diverso, ma per noi maschi questo è un incubo dal quale non si esce intatti.


González Ledesma, Francisco
Expediente Barcelona (1983)

Anche soltanto trent’anni fa González Ledesma avrebbe scritto saporiti e guizzanti romanzi gialli lunghi 120 pagine o poco più. Oggi purtroppo va avanti ben oltre le trecento pagine e non sa dove fermarsi. Forse, prima di scartarlo del tutto, bisognerebbe leggere qualche altro suo libro. Ma questo non è di certo un buon inizio. (P.S. González Ledesma è morto qualche mese fa e, come si dice, de mortuis nihil nisi bonum...)


González Vera, José Santos
Alhué. Estampas de una aldea (1928)

Queste sono le delizie dei libri immateriali. Alejandro Zambra dichiara che i suoi due punti di riferimento nella letteratura cilena sono Juan Emar e José Santos González Vera. In tempi normali (ai miei tempi) (et ça ne nous rajeunit pas) mi sarei semplicemente segnato i due nomi nell’improbabile evenienza di trovare da qualche parte i loro libri. Oggi m’è bastato andare online per trovare quattro titoli di Juan Emar e questo Alhué di Gonzalez Vera. Ora, dovessi dire che ho capito perché a Zambra (che è davvero bravo a scrivere) piaccia così tanto González Vera, direi una bugia.



Hare, Cyril
He Shoud Have Died Hereafter / Untimely Death (1958)
Classico whodunit, ambientato nella provincia inglese. Datato che peggio non si potrebbe.


Hjortsberg, William
Gray Matters (1971) – Nevermore (1994)

Hjortsberg è più famoso per Angel Heart che credo appartenga al genere horror (non lo so, il film non l’ho mai visto). Ma Hjortsberg è un eclettico che ha frequentato diversi generi nella sua carriera. Tra le altre cose ha scritto anche una biografia di Richard Brautigan e questo non può che rendermelo simpatico. Gray Matters è un libro di fantascienza, anche se non particolarmente invitante e originale. Nevermore invece è un giallo storico i cui protagonisti sono Houdini e Conan Doyle. E dietro di loro Edgar Allan Poe, Damon Runyon e perfino Buster Keaton. Non è sgradevole. Certo Hjortsberg poteva farla anche meno lunga, ma si lascia leggere con piacere.


Hornung, E. W.
The Amateur Cracksman (racconti, 1899) – Dead Men Tell No Tales (1989) – Raffles, Further Adventures of the Amateur Cracksman (racconti, 1901) – The Shadow of the Rope (1902) – No Hero (1903) – Stingaree (1905) – A Thief in the Night (racconti, 1905) – Mr. Justice Raffles (1909)

In qualunque fiction la funzione della spalla è quella di far sapere al lettore quel che deve sapere, senza aver l’aria di farlo. Nel genere giallo, però, la spalla assume un ulteriore connotato: quello di nascondere al lettore le deduzioni del protagonista. La spalla racconta, ma è un po’ stupida e quindi non rovina il colpo di scena finale a cui solo il geniale detective poteva arrivare. Capita con Holmes e Watson. Capita con Nero Wolfe e Archie Goodwin. In questo caso capita con Arthur Raffles e Bunny Manders. Con un’aggravante. Hornung dichiara apertamente d’essersi ispirato per la sua coppia non tanto a Conan Doyle, quanto a due personaggi reali: Oscar Wilde e al suo compagno Bosie (Lord Alfred Douglas). Ed è così che tutte le reticenze che saggiamente Raffles mantiene nei confronti di Manders diventano occasioni per imperdonabili scenate di gelosia. Bunny, quando parla di Raffles, non può pare a meno di dire chiaramente che lo ama. Solo Raffles non se ne accorge o fa finta. Impegnato com’è a sedurre tutti i maschi che gli capitano a tiro.
Detto questo i racconti con Raffles protagonista sono decisamente divertenti (molto meno gli altri romanzi, quelli in cui lui non compare). Il personaggio ebbe un discreto successo agli inizi del Novecento e negli anni Settanta divenne anche protagonista di una serie tv. Se oggi non è così famoso come Fantomas o Bulldog Drummond o Simon Templar lo si deve a un vizio di base (un inherent vice). Raffles è un ladro, dunque è cattivo. É il cattivo della storia. Quindi tutta la sua saga ha poco fiato. Per renderlo meno cattivo Hornung a un certo punto prova a fare di lui un patriota e lo iscrive come volontario alla seconda guerra anglo-boera. Col problema che, essendo un ricercato, non può presentarsi all’esercito con la sua faccia, ma deve almeno tingersi i capelli (in inglese to dye). Ed è lì che pronuncia la frase memorabile: “I always told you that I was ready to dye for my country”. A riprova del fatto, tra l’altro, che Raffles andava pazza per i travestimenti.


Howard, Jonathan L.
Johannes Cabal the Necromancer (2009) – Johannes Cabal the Detective (2010) – The House of Gears (racconto, 2011)

In genere amo poco le storie di negromanti, diavoli forcuti e soprannaturali sospensioni di credulità. Ma Jonathan Howard scrive con grande piglio e sveltezza. Spesso non crede neppure lui a quel che scrive. Insomma non si prende sul serio. Certo, ogni tanto Johannes Cabal si lascia cogliere da dilemmi morali dei quali faremmo volentieri a meno, ma per buona parte del tempo si diverte a fare quel che fa e non si pone altri problemi. Memorabile, per esempio, il guardiano dell’inferno che in vita era un burocrate e oggi tormenta le anime dannate con interminabili moduli da compilare, ancor prima che queste possano accedere alle sevizie dell’inferno vero e proprio. Normalmente non faccio follie per questo genere di storie, ma Jonathan Howard riesce bellamente a disinnescare tutte le mie naturali e giustificatissime prevenzioni.

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