GIA-HOW
Luna caliente (1983)
Non si fa fatica
a capire come mai questo libro sia piaciuto a quel vecchio porco di Vicente
Aranda (al punto da farne un film nel 2009). Ramiro Bernárdez è un giovane
dottore che una sera violenta una bambina di tredici anni di nome Araceli.
Certo lei è un po’ puttana e poi c’era la luna... Non contento d’averla
violentata, la picchia e la lascia per morta nel suo letto. Come se non bastasse, la notte stessa
ammazza il padre di lei, alcolista e rompicoglioni, con l’idea di scaricare su
di lui la morte della ragazza. Poi torna a casa e si mette a dormire. Dopo
appena qualche dozzina di pagine ci ritroviamo dentro un perfetto incubo
maschile. Ma è tutto troppo facile. Stupro, omicidio, fuga, tutto avviene come
in un sogno. Anche perché poi la ragazza non è morta e la mattina dopo si
presenta a casa di Ramiro. Inestinguibile come un desiderio. E ne vuole ancora.
Naturalmente il nostro viene sospettato dell’omicidio, ma, come gli spiega il
poliziotto (e come capita in ogni intreccio kafkiano), c’è un modo per uscirne
puliti. Un modo semplice semplice. Lui deve soltanto confessare e loro gli assicurano la completa impunità. Noi stiamo costruendo una nuova Argentina
(siamo all’epoca della dittatura), dice il poliziotto, e contiamo su persone come lei per questo.
Sarebbe una via d’uscita facile, ma Bernárdez ne sceglie una più facile ancora.
Scappa all’estero. Va a vivere in un albergo. E qualche giorno dopo gli dicono
dalla reception che c’è una che
chiede di lui. Una ragazza giovane. Casi
una niña. È ancora lei. Il suo revenant.
Il suo chiodo fisso. Inestinguibile come una sete.
É probabile che
a una donna questo libro faccia un effetto completamente diverso, ma per noi
maschi questo è un incubo dal quale non si esce intatti.
Expediente Barcelona (1983)
Anche soltanto
trent’anni fa González Ledesma avrebbe scritto saporiti e guizzanti romanzi gialli
lunghi 120 pagine o poco più. Oggi purtroppo va avanti ben oltre le trecento
pagine e non sa dove fermarsi. Forse, prima di scartarlo del tutto, bisognerebbe
leggere qualche altro suo libro. Ma questo non è di certo un buon inizio. (P.S. González Ledesma è morto qualche mese fa e, come si dice, de mortuis nihil nisi bonum...)
Queste sono le
delizie dei libri immateriali. Alejandro Zambra dichiara che i suoi due punti
di riferimento nella letteratura cilena sono Juan Emar e José Santos González
Vera. In tempi normali (ai miei tempi) (et ça ne nous rajeunit pas) mi sarei semplicemente segnato i due
nomi nell’improbabile evenienza di trovare da qualche parte i loro libri. Oggi
m’è bastato andare online per trovare quattro titoli di Juan Emar e questo Alhué di Gonzalez Vera. Ora, dovessi
dire che ho capito perché a Zambra (che è davvero bravo a scrivere) piaccia
così tanto González Vera, direi una bugia.
Hare, Cyril
He Shoud Have Died Hereafter / Untimely
Death (1958)
Classico whodunit, ambientato nella provincia
inglese. Datato che peggio non si potrebbe.
Gray Matters (1971) – Nevermore (1994)
Hjortsberg è più
famoso per Angel Heart che credo
appartenga al genere horror (non lo so, il film non l’ho mai visto). Ma
Hjortsberg è un eclettico che ha frequentato diversi generi nella sua carriera.
Tra le altre cose ha scritto anche una biografia di Richard Brautigan e questo
non può che rendermelo simpatico. Gray
Matters è un libro di fantascienza, anche se non particolarmente invitante
e originale. Nevermore invece è un
giallo storico i cui protagonisti sono Houdini e Conan Doyle. E dietro di loro
Edgar Allan Poe, Damon Runyon e perfino Buster Keaton. Non è sgradevole. Certo
Hjortsberg poteva farla anche meno lunga, ma si lascia leggere con piacere.
Hornung, E. W.
The Amateur Cracksman (racconti, 1899) – Dead Men Tell No Tales (1989) – Raffles,
Further Adventures of the Amateur Cracksman (racconti, 1901) – The Shadow of the Rope (1902) – No Hero (1903) – Stingaree (1905) – A Thief in
the Night (racconti, 1905) – Mr.
Justice Raffles (1909)

Detto questo i
racconti con Raffles protagonista sono decisamente divertenti (molto meno gli
altri romanzi, quelli in cui lui non compare). Il personaggio ebbe un discreto
successo agli inizi del Novecento e negli anni Settanta divenne anche
protagonista di una serie tv. Se oggi non è così famoso come Fantomas o Bulldog
Drummond o Simon Templar lo si deve a un vizio di base (un inherent vice). Raffles è un ladro, dunque è cattivo. É il cattivo
della storia. Quindi tutta la sua saga ha poco fiato. Per renderlo meno cattivo
Hornung a un certo punto prova a fare di lui un patriota e lo iscrive come
volontario alla seconda guerra anglo-boera. Col problema che, essendo un
ricercato, non può presentarsi all’esercito con la sua faccia, ma deve almeno
tingersi i capelli (in inglese to dye).
Ed è lì che pronuncia la frase memorabile: “I always told you that I was ready
to dye for my country”. A riprova del fatto, tra l’altro, che Raffles andava
pazza per i travestimenti.
Johannes Cabal the Necromancer (2009) – Johannes Cabal the Detective (2010) – The House of Gears (racconto, 2011)
In genere amo
poco le storie di negromanti, diavoli forcuti e soprannaturali sospensioni di
credulità. Ma Jonathan Howard scrive con grande piglio e sveltezza. Spesso non
crede neppure lui a quel che scrive. Insomma non si prende sul serio. Certo,
ogni tanto Johannes Cabal si lascia cogliere da dilemmi morali dei quali
faremmo volentieri a meno, ma per buona parte del tempo si diverte a fare quel
che fa e non si pone altri problemi. Memorabile, per esempio, il guardiano
dell’inferno che in vita era un burocrate e oggi tormenta le anime dannate con
interminabili moduli da compilare, ancor prima che queste possano accedere alle
sevizie dell’inferno vero e proprio. Normalmente non faccio follie per questo
genere di storie, ma Jonathan Howard riesce bellamente a disinnescare tutte le
mie naturali e giustificatissime prevenzioni.
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