sabato 23 maggio 2015

Libri letti ultimamente MEN-OFF



MEN-OFF

Mendoza, Élmer
El amante de Janis Joplin (2001) – Balas de plata (2008)

Conoscere il castigliano per leggere i romanzi del messicano Mendoza è utile, ma non basta. Per andare avanti bisogna familiarizzarsi almeno con una dozzina di espressioni tipo chola, joto, merequetengue, ¿Qué onda?, ¡Òrale!  e Ahí nos vidrios cocodrilo. Ma una volta pagato lo scotto, ci si diverte come dei matti. Dei due, Balas de plata è un po’ più convenzionale, ma El amante de Janis Joplin è una vera delizia. Il protagonista è un perfetto cretino che guarda il mondo a bocca aperta (bocachula, lo chiama il comandante Mascareño), ma ha anche un braccio formidabile. Con un sasso può far fuori chiunque, per esempio Rogelio, il fidanzato di Carlota Amalia. Con un palla da baseball è un mago, tanto che i Dodgers se lo portano a New York. Ed è lì che, una sera, accanto al Chelsea Hotel, incontra Janis Joplin che gli chiede: “Ma tu non sei Chris Christofferson?” e poi se lo porta a letto. Tornato in Messico (i Dodgers lo scaricano subito), deve affrontare i parenti di Rogelio che vogliono vendicarsi. Dalla sua parte ha soltanto un cugino guerrigliero (El Chato) e un amico d’infanzia narcotrafficante (El Cholo). Per il resto David non ha problemi, non ha pensieri, non ha testa. Ha un braccio terrificante e un solo sogno: tornare a New York, ritrovare Janis Joplin e sposarla.


Monterroso, Augusto
Obras completas y otros cuentos (1959) – La oveja negra y demás fabulas (1969) – Viaje al centro de la fabula (1981) – La letra E: fragmentos de un diario (1987)

Disgraziatamente non c’è abbastanza spazio in questo blog per spiegare la grandezza di Augusto Monterroso. Se mi lasciate un pomeriggio di tempo posso provare a raccontarvi la storia di Leopoldo Ralón, lo scrittore munizioso, che in tutta la vita non arriva a scrivere mai una riga o quella dello scarafaggio sognatore (sognava di essere Franz Kafka). Se mi date in bianco trecento cartelle di spazio potrei provare a dirvi perché Onis è un assassino (anche se il palindromo suona solo nell’originale Onis es asesino). Monterroso è celebre per la brevità dei suoi racconti (un precursore della literatura portátil di Vila-Matas) e io la sto facendo lunga. Il suo racconto più famoso dice così: Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì. È il più breve della storia della letteratura. E io la sto facendo lunga, lo so. Ma io non sono Augusto Monterroso.
Nel suo libro di memorie Permiso para vivir, il peruviano Alfredo Bryce Echenique racconta un episodio troppo bello per essere vero. Un giorno si trova a parlare con Monterroso di Cortázar e vede che la faccia di quello si sbianca all’improvviso. “Ma perché, Cortázar esiste veramente? E dire che tutto quello che ho fatto in vita mia non è stato altro che plagiare Cortázar!”. La storia non finisce qui. Un anno dopo Bryce Echenique è a Parigi a casa di Cortázar che è in procinto di partire per il Messico. “Allora devi assolutamente andare a trovare Augusto Monterroso”, gli dice. E la risposta di Cortázar è: “¿Monterroso? Pero Monterroso existe? (...) ¡Pero si lo único que he echo yo en mi vida es plagiar a Monterroso!”. Non so se la storia sia vera. Non sono neppure sicuro dell’esistenza reale di Augusto Monterroso o di Julio Cortázar. O di Alfredo Bryce Echenique, se è per questo. Del resto non so neppure chi sono io. Quel che so per certo è che non sono Augusto Monterrroso. Disgraziatamente.


Moore, Christopher
Practical Demonkeeping (1992) – The Lust Lizard of Melancoly Cove (1999)

Refreshing. Non so come altro dirlo. E nemmeno come tradurlo. Ma leggere i libri di Christopher Moore è un’esperienza refreshing. È come se uno, in una giornata afosa piena di libri pesanti e supponenti, si trovasse a percepire un lieve refolo di vento. Leggero, per carità, leggero, ma emozionante. Moore introduce i suoi elementi fantasy (e dio solo sa se odio il fantasy) come se fossero dei dati di fatto, degli eventi quotidiani. Certo, se uno è un millenario mostro marino, ci sta che debba mangiare ogni tanto qualche essere umano. Questo almeno pensa Molly Michon. E voi la conoscete Molly, vero? L’avrete vista di certo nel ruolo di Kendra in Warrior Babe of the Outland. Vi ricorderete il suo bikini di pelle nero, il collare con le borchie a punta e la spada. Oppure l’avrete vista in Outland Steel: Kendra’s Revenge Il film che inizia con cinque minuti di nudo gratuito con Molly che fa la doccia, nonostante abiti in un pianeta del tutto sprovvisto d’acqua. Ma sì, Molly Michon, quella che adesso vive in un camper e riceve un assegno dallo Stato in quanto schizofrenica conclamata.
E questo non è che l’inizio. Ho altri dodici romanzi di Christopher Moore da leggere. Sono lì che mi aspettano e io non ho fretta. Ho solo una parola da dirvi: refreshing.


Offill, Jenny
Dept. of Speculation (2014)

È la storia di una scrittrice alle prese con un secondo libro che non ne vuol sapere di venir fuori. Una che vorrebbe diventare una art monster, cioè una donna che passa sopra a tutto e tutti pur di realizzare i propri sogni artistici. E che invece banalmente si sposa, fa una figlia e dopo un po’ scopre pure che il marito la tradisce. Punto. “Se qualcuno mi avesse chiesto di leggere un libro con una trama del genere mi sarei rifiutata,” dichiara la stessa Offill. La stessa cosa che ho pensato io quando ero già a metà, anche se a quel punto, perso per perso, ho pensato di finirlo. E ho fatto bene.
C’è gente che con la propria facilità di tessitura nasconde la povertà della sua stoffa. C’è gente che, se non scrive trecento pagine almeno, non si sente soddisfatta, Neanche la pagassero a cottimo. E c’è gente che sputa sangue, sudore e lacrime per ogni singola frase. Offill dice che quel che ha cercato di fare è stato “to say the most with the least”. Di dire il massimo con il meno possibile. Sia benedetta Offill e la sua fatica.
Sia Elaine Blair su The New York Review of Books che James Wood su The New Yorker trovano il modo di citare David Markson. Il trait d’union sarebbe la frammentarietà e, a volte, l’eterogeneità dei frammenti in questione. Con la differenza però che quelli di Markson sembrano i diari privati, non elaborati, crudi, di uno scrittore che sta preparando un libro. I materiali (anche eterogenei, anche frammentari) di Offill si affacciano, invece, nel suo libro già digeriti, frollati, assimilati, grazie a un gran lavoro di gomiti e di scalpello. E con un mucchio di midnight oil bruciato nell’impresa.

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