venerdì 9 agosto 2013

I francesismi di Ezio D'Errico



In Francia D'Errico c'era stato davvero. Pittore, drammaturgo, oltre che scrittore di gialli, Ezio D'Errico aveva vissuto cinque anni a Parigi all'epoca in cui questa era piena di aspiranti scrittori americani in cerca d'ispirazione. Per questo, al momento d'inventarsi delle storie gialle (non italiane perché il fascismo non voleva), lui non aveva fatto fatica ad ambientarle in Francia. Una Francia molto più plausibile, per esempio, degli Stati Uniti di Scerbanenco e del suo ispettore Jelling.

Peccato che Simenon fosse arrivato prima di lui. Il commissario Richard di D'Errico è grosso, calvo, testardo, irascibile, beve aperitivi e birre senza ritegno. Ha una sorella (non una moglie) apprensiva e amorevole che lo cura e lo rimbrotta a ogni pie' sospinto. È anche burbero e insofferente. Quando il suo amico Milton gli cita Gli assassini della Rue Morgue di Poe, lui sbotta: “Non leggo, non vado a teatro, non so niente! (…) io sono un poliziotto ignorante, cocciuto e superbo della propria asinità!”. Insomma è troppo Maigret per essere Richard.

Ma la cultura francese si sente. Ne I superstiti de l'Hirondelle (1940) c'è uno che vuol giocare al più furbo (jouer au plus fin). Ne La casa inabitabile (1941) la signora Julien dice “...tornavo dall'averla accompagnata alla scuola”. Ne Il naso di cartone (1940) si parla di levata (levée) per dire di uno che s'alza dal letto. Nello stesso libro c'è un tizio dall'aria gialla e itterica che ride controvoglia. Richard commenta: “Diciamo allora che rideva verde...”, ma D'Errico sa benissimo che in francese si dice “rire jaune”. È come se la battuta gli fosse venuta in francese e lui avesse provato (con scarsi risultati) a tradurla in italiano.

D'Errico, del resto non era il solo. L'impressione è che tutta la cultura (almeno giallistica) degli anni 30-40 fosse nettamente più francofila che anglofila. E questo nonostante gli autori più popolari e tradotti fossero Christie, Wallace, Doyle, Rinehart ecc... Ne La gatta persiana (1933) di Alessandro Varaldo si usa l'espressione “pagarsi la mia testa” (sia pure attribuendola a Madame Fanny, la manicure dell'Astoria). Ne Il pilota della notte(1935) di De Stefani si parla di “colpabilità”. Ne L'isola nella foresta (1935) sempre di De Stefani, la lingua ufficiale a bordo del piroscafo Vulcania è il francese.

Per non parlare di Augusto De Angelis. In Giobbe Tuama & C. (1936) troviamo: “La filatura fu facile (...)”. Ma sono in francesi che dicono filature, in italiano si dice pedinamento. In Sei donne e un libro (1936) il Questore viene descritto così: “Era più azzimato, più lisciato, più tirato a quattro spille del solito”. E questa è proprio la traduzione alla lettera di “tiré à quatre épingles”. A differenza di Richard, il commissario De Vincenzi è uno colto e ci tiene a farlo sapere. All'inizio de Il banchiere assassinato (1935) il collega De Blasi lo coglie mentre cerca di nascondere sotto una montagna di carte un libro che sta leggendo. Sarà Pirandello o magari Froind, insinua De Blasi. Rimasto solo, De Vincenzi dissotterra il libro: “Non era Freud. Era Lawrence. Le serpent à plumes. I sensi...” The Plumed Serpent di Lawrence era per l'epoca un libro osé. Il riferimento è tanto più snob se si considera che il libro sarebbe uscito anche in Italia lo stesso anno (il 1935) presso Mondadori per la traduzione di Elio Vittorini. Ma a De Angelis-De Vincenzi questo non basta. Vuoi per sfiducia nelle traduzioni di regime, vuoi per anticipare anche di poco l'uscita italiana, lui Lawrence lo legge in francese. In quale altra lingua sennò?


2 commenti:

  1. Se volete trovare i migliori giardinieri della zona andate su www.ernesto.it !

    Ve lo consiglio tantissimo :)

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