In Francia D'Errico c'era stato
davvero. Pittore, drammaturgo, oltre che scrittore di gialli, Ezio
D'Errico aveva vissuto cinque anni a Parigi all'epoca in cui questa
era piena di aspiranti scrittori americani in cerca d'ispirazione.
Per questo, al momento d'inventarsi delle storie gialle (non italiane
perché il fascismo non voleva), lui non aveva fatto fatica ad
ambientarle in Francia. Una Francia molto più plausibile, per
esempio, degli Stati Uniti di Scerbanenco e del suo ispettore
Jelling.
Peccato che Simenon fosse arrivato
prima di lui. Il commissario Richard di D'Errico è grosso, calvo,
testardo, irascibile, beve aperitivi e birre senza ritegno. Ha una
sorella (non una moglie) apprensiva e amorevole che lo cura e lo
rimbrotta a ogni pie' sospinto. È anche burbero e insofferente.
Quando il suo amico Milton gli cita Gli assassini della Rue Morgue
di Poe, lui sbotta: “Non
leggo, non vado a teatro, non so niente! (…) io sono un poliziotto
ignorante, cocciuto e superbo della propria asinità!”.
Insomma è troppo Maigret per essere Richard.
Ma la cultura francese si sente.
Ne I superstiti de l'Hirondelle (1940) c'è uno che vuol
giocare al più furbo (jouer au plus fin). Ne La casa
inabitabile (1941) la signora
Julien dice “...tornavo dall'averla accompagnata alla scuola”. Ne
Il naso di cartone
(1940) si parla di levata (levée)
per dire di uno che s'alza dal letto. Nello stesso libro c'è un
tizio dall'aria gialla e itterica che ride controvoglia. Richard
commenta: “Diciamo allora che rideva verde...”, ma D'Errico sa
benissimo che in francese si dice “rire jaune”. È come se la battuta gli fosse venuta in francese e lui avesse
provato (con scarsi risultati) a tradurla in italiano.
D'Errico, del resto non era il solo.
L'impressione è che tutta la cultura (almeno giallistica) degli
anni 30-40 fosse nettamente più francofila che anglofila. E
questo nonostante gli autori più popolari e tradotti fossero
Christie, Wallace, Doyle, Rinehart ecc... Ne La gatta persiana
(1933) di Alessandro Varaldo si usa l'espressione “pagarsi la mia
testa” (sia pure attribuendola a Madame Fanny, la manicure
dell'Astoria). Ne Il pilota della notte(1935)
di De Stefani si parla di “colpabilità”. Ne L'isola
nella foresta (1935) sempre di
De Stefani, la lingua ufficiale a bordo del piroscafo Vulcania
è il francese.
Per
non parlare di Augusto De Angelis. In Giobbe Tuama & C.
(1936) troviamo: “La filatura
fu facile (...)”. Ma sono in francesi che dicono filature,
in italiano si dice pedinamento. In Sei donne e un libro
(1936) il Questore viene
descritto così: “Era più azzimato, più lisciato, più tirato a
quattro spille del solito”. E questa è proprio la traduzione alla
lettera di “tiré à quatre épingles”. A differenza di Richard, il commissario De Vincenzi è uno colto e ci tiene a farlo sapere. All'inizio de Il
banchiere assassinato (1935) il
collega De Blasi lo coglie mentre cerca di nascondere sotto una
montagna di carte un libro che sta leggendo. Sarà Pirandello o
magari Froind, insinua
De Blasi. Rimasto solo, De Vincenzi dissotterra il libro: “Non era
Freud. Era Lawrence. Le serpent à plumes.
I sensi...” The Plumed Serpent di Lawrence era per l'epoca un libro osé. Il riferimento è tanto più
snob se si considera che il libro sarebbe uscito anche in Italia lo stesso anno (il 1935) presso
Mondadori per la traduzione di Elio Vittorini. Ma a De Angelis-De
Vincenzi questo non basta. Vuoi per sfiducia nelle traduzioni di
regime, vuoi per anticipare anche di poco l'uscita italiana, lui Lawrence lo legge in francese. In quale altra lingua sennò?
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RispondiEliminaVe lo consiglio tantissimo :)
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