martedì 20 agosto 2013

Margery Allingham e il suo cretino




Margery Allingham non ha mai amato Albert Campion. La prima volta che lo fa entrare in scena lo presenta così: “He's quite inoffensive, just a silly ass” (The Crime at Black Dudley, 1929, La lunga notte di Black Dudley). Di fatto un povero scemo dalla faccia così vuota che anche quando pensa, sembra che faccia finta di pensare: “(...) his pleasant vacuous face wrinkled in a travesty of deep thought” (Police at the Funeral, 1931, La polizia in casa).

In Look to the Lady (1931, Il segreto della torre) osserviamo la sua vacuous face (pp. 25 e 73, Penguin, 1950) che a p. 78 diventa more vacuous than usual. Poi vediamo la sua pale ineffectual face (p. 73), quindi la sua abitual expression of affable fatuity (p. 172) oppure di complete inanity (p. 58) o ancora di apparent imbecillity (p. 99). Mr Campion sorride foolishly a pp. 91 e 98. Poi si mostra more foolish than before a p. 110 e foolish-looking as ever a p. 172, ma dev'essere per via del suo almost imbecile smile (p. 269). Tanto che a un certo punto Penny non può fare a meno di dirgli: Albert, you're an idiot (p. 110).

Questo per dire che non si tratta di riferimenti sporadici. Allingham lo fa apposta. Che si tratti di larvato femminismo o che Campion nasca come parodia di Lord Peter Wimsey, il personaggio creato da Dorothy Sayers, sta di fatto che il nostro non è il prototipo né del genio deduttivo, né del maschio rubacuori e travolgente.

La verità è che lei non voleva farne un personaggio fisso. In The Crime at Black Dudley è una figura di contorno. Diventerà protagonista più tardi, anche su cortese spinta del suo editore americano (Doubleday). E quando il tuo editore americano ti suggerisce qualcosa, in genere non stai a discutere più di tanto. Il problema vero è che non puoi andare avanti per 19 romanzi e 32 racconti (tra il '29 e il '68) a raccontare le vicende di uno che è sostanzialmente un cretino. Allora Campion cambia, con gli anni diventa più serio, si sposa, fa un figlio, a volte perde la centralità della narrazione, diventa suo malgrado second fiddle, come dicono gli inglesi.

E poi nel 1941 le viene un colpo di genio. Margery Allingham è stata una scrittrice versatile, ma non trascendentale. Una scrittrice solida, i cui romanzi sono ancora tutti in circolazione e vengono regolarmente ristampati, ma non particolarmente originale. Eppure l'idea di The Traitor's Purse (1941, L'amnesia del signor Campion) è fulminante.

Un uomo, accusato dell'omicidio di un poliziotto, si sveglia in un letto d'ospedale con la mente totalmente vuota. Riesce a fuggire, ma solo per trovarsi impelagato in un oscuro intrigo in cui i destini del mondo (o almeno quelli della Corona) sembrano dipendere esclusivamente da lui, Albert Campion. Peccato che lui non abbia la minima idea di che cosa si tratti.

Quando il sovrintendente Hurst gli chiede spiegazioni lui risponde: “I can't tell you. (…) Don't you understand? I'm simply unable to tell you” (p. 71, Penguin, 1973). Ed è del tutto sincero, non è in grado di dire nulla perché non sa nulla, è una tabula rasa. Lo stesso capita con Amanda a cui risponde: “I only wish I could tell you”. E lei lo giustifica subito dicendo: “Yes, well, you can't. (…) You're under oath and that's final. I don't mind” (p. 57). Sei sotto giuramento, è chiaro che non puoi parlare con me dei segreti di Stato. Ci casca anche Lee Aubrey: “I admire your magnificent reticence, Campion. It's impressive” (p. 88). Anche se quella che sembra reticenza professionale, in realtà non è altro che beata ignoranza, insulsaggine, quando non comunissima idiozia.

Il capolavoro del fraintendimento lo raggiungiamo quando Campion decide di rivolgersi a Sir Henry Bull (Junior Lord of the Treasury). Sul treno per Londra incontra uno sconosciuto che gli parla di inflazione, di alto tradimento e di altri misteriosi pericoli. E Campion manco lo sta a sentire. Quando finalmente va a bussare alla porta di Sir Henry scopre che era lui il tizio del treno e pensa di aver fatto una crepa colossale. Ma l'altro, invece di sospettare di aver davanti un emerito deficiente, prende su di sé tutta la colpa. “I know I've been very obtuse,” gli dice. Non avevo mai pensato che potessero mettere dei microfoni nelle pareti dei vagoni ferroviari, ma spero di non aver detto nulla di grave, di non aver rivelato dei segreti (pp. 158-159). 
Io me l'immagino a quel punto Campion con la bocca aperta, la fronte aggrottata e gli occhi rivolti in alto alla Verdone, che pensa: “Microphones in the wall of railway carriages? Uh?”.

Poi alla fine Campion risolve il mistero, ovvero una storia di false sterline da gettare sul mercato così da provocare inflazione e rovina per l'economia inglese (siamo in tempi di guerra e un progetto del genere venne effettivamente tentato dai nazisti sotto il nome di Operazione Bernhard). Lo so, il finale è deludente. Ma a noi che importa, abbiamo ritrovato Campion così come l'abbiamo sempre conosciuto. E Margery ha ritrovato il suo cretino.


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