mercoledì 18 settembre 2013

Donna Tartt sulla poltrona del dentista




Sarà capitato anche a voi di avere mal di denti. Certo, mi risponderete voi, ma come possiamo essere sicuri che il nostro mal di denti sia la stessa cosa del tuo mal di denti? Da quando avete letto Wittgenstein (Ricerche filosofiche) siete diventati insopportabili. Sappiatelo. Allora ricominciamo da capo.

Sarà capitato anche a voi di andare dal dentista. L’esperienza in genere non è piacevole, ma posso consigliarvi due o tre regole facili facili per non avere paura e per difendervi dal dolore.
La prima è non guardare e non sapere. Quando lui/lei cerca di spiegarvi con dovizia di particolari quante e quali truculente operazioni intende fare nel vostro cavo orale, voi troncate il discorso e, con il coraggio che solo gli antichi romani sapevano mostrare, dichiarate che volete cominciare subito, sine ulla mora.
A quel punto chiudete gli occhi e rilassatevi. Attorno a voi ci sono trapani sinuosi e acuminati strumenti partoriti dalla fantasia di un trovarobe da B-movie, ma voi non degnateli di uno sguardo. L’orrore sta nell’occhio di chi guarda, sta nell’attesa. La realtà è sempre meno tragica di quel che riusciamo a immaginare.

Il secondo consiglio è: concentratevi sul vostro polpaccio sinistro. Se state bene attenti potete sentire il sangue che scorre al suo interno, potete risalire anche lungo la femorale o scendere giù fino all’alluce del piede. Questo v’impedirà di pensare almeno per un po’ che avete una bocca nella quale sta succedendo chissà cosa. Naturalmente il discorso non cambia se scegliete il destro, di polpacci. Lo dico perché so che siete pignoli. E anche un po’ biondi.

La terza misura è quella decisiva.  Per tutto il tempo della seduta non pensate a niente, sgombrate la testa e recitate un mantra. Avete presente la preghiera incessante di Franny Glass nel racconto di Salinger? Qualcosa del genere. Tranne che la frase da ripetere non deve diventare automatica, sennò perde ogni effetto. Tanto varrebbe allora recitare il rosario con tutti i pater, ave e gloria detti d’un fiato, quasi senza pensare. Il consiglio infatti è di scartare l’italiano. Meglio prendere una frase da una lingua straniera. Così state più attenti. Magari una frase da un libro a cui tenete particolarmente. La imparate a memoria e da quel momento nulla vi potrà più accadere.

Il mio mantra personale dei miei ultimi vent’anni di forzata convivenza col dentista dice così:

The snow in the mountains was melting and Bunny had been dead for several weeks before we came to understand the gravity of our situation.

Bunny, non so se ve lo ricordate, è Edmund “Bunny” Corcoran, quel ragazzetto insopportabile che a un certo punto ricatta Henry e tutti gli altri, tanto che Henry è costretto a portarselo dietro in Italia dove lui (Bunny) si porta dietro, tra le altre cose, una copia della Divina Commedia tradotta da quell’altra rompicoglioni della Sayers e che naturalmente finisce male (sempre Bunny, non la Sayers), ma questo lo sapevamo già, visto che Donna Tartt ce lo dice fin dalla prima riga.
Avete presente di chi sto parlando, no? Oppure volete dirmi che non avete mai letto The Secret History (Knopf, 1992; Dio di illusioni, Rizzoli, 1992)?

Un’ultima raccomandazione. Il mantra va tenuto segreto. Inutile andarlo a raccontare in giro a mezzo mondo, altrimenti smette di funzionare. Infatti io a questo punto dovrò trovarne un altro. Per fortuna il 22 ottobre esce The Goldfinch, il nuovo romanzo di Donna Tartt.

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