Sarà capitato anche a voi di avere mal di denti. Certo, mi
risponderete voi, ma come possiamo essere sicuri che il nostro mal di denti sia
la stessa cosa del tuo mal di denti? Da quando avete letto Wittgenstein (Ricerche filosofiche) siete diventati
insopportabili. Sappiatelo. Allora ricominciamo da capo.
Sarà capitato anche a voi di andare dal dentista.
L’esperienza in genere non è piacevole, ma posso consigliarvi due o tre regole
facili facili per non avere paura e per difendervi dal dolore.
La prima è non guardare e non sapere. Quando lui/lei cerca
di spiegarvi con dovizia di particolari quante e quali truculente operazioni
intende fare nel vostro cavo orale, voi troncate il discorso e, con il coraggio
che solo gli antichi romani sapevano mostrare, dichiarate che volete cominciare
subito, sine ulla mora.
A quel punto chiudete gli occhi e rilassatevi. Attorno a voi
ci sono trapani sinuosi e acuminati strumenti partoriti dalla fantasia di un
trovarobe da B-movie, ma voi non degnateli di uno sguardo. L’orrore sta
nell’occhio di chi guarda, sta nell’attesa. La realtà è sempre meno tragica di
quel che riusciamo a immaginare.
Il secondo consiglio è: concentratevi sul vostro polpaccio
sinistro. Se state bene attenti potete sentire il sangue che scorre al suo interno,
potete risalire anche lungo la femorale o scendere giù fino all’alluce del
piede. Questo v’impedirà di pensare almeno per un po’ che avete una bocca nella
quale sta succedendo chissà cosa. Naturalmente il discorso non cambia se
scegliete il destro, di polpacci. Lo dico perché so che siete pignoli. E anche
un po’ biondi.
La terza misura è quella decisiva. Per tutto il tempo della seduta non pensate a niente,
sgombrate la testa e recitate un mantra.
Avete presente la preghiera incessante di Franny Glass nel racconto di
Salinger? Qualcosa del genere. Tranne che la frase da ripetere non deve
diventare automatica, sennò perde ogni effetto. Tanto varrebbe allora recitare
il rosario con tutti i pater, ave e gloria detti d’un fiato, quasi senza
pensare. Il consiglio infatti è di scartare l’italiano. Meglio prendere una
frase da una lingua straniera. Così state più attenti. Magari una frase da un
libro a cui tenete particolarmente. La imparate a memoria e da quel momento
nulla vi potrà più accadere.
Il mio mantra personale dei miei ultimi vent’anni di forzata
convivenza col dentista dice così:
The snow in the mountains was melting and Bunny had been dead for
several weeks before we came to understand the gravity of our situation.
Bunny, non so se ve lo ricordate, è Edmund “Bunny” Corcoran,
quel ragazzetto insopportabile che a un certo punto ricatta Henry e tutti gli
altri, tanto che Henry è costretto a portarselo dietro in Italia dove lui
(Bunny) si porta dietro, tra le altre cose, una copia della Divina Commedia tradotta da quell’altra
rompicoglioni della Sayers e che naturalmente finisce male (sempre Bunny, non
la Sayers), ma questo lo sapevamo già, visto che Donna Tartt ce lo dice fin
dalla prima riga.
Avete presente di chi sto parlando, no? Oppure volete dirmi
che non avete mai letto The Secret
History (Knopf, 1992; Dio di
illusioni, Rizzoli, 1992)?
Un’ultima raccomandazione. Il mantra va tenuto segreto.
Inutile andarlo a raccontare in giro a mezzo mondo, altrimenti smette di
funzionare. Infatti io a questo punto dovrò trovarne un altro. Per fortuna il
22 ottobre esce The Goldfinch, il
nuovo romanzo di Donna Tartt.

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