sabato 11 aprile 2015

Libri letti ultimamente DIF-DOO


DIF-DOO


Di Filippo, Paul
Ribofunk (racconti, 1996) – Scab’s Progress (con Bruce Sterling, racconto, 2000) – Shipbreaker (racconto, 2002) – Neutrino Drag (racconto, 2004)

Scriveva Roland Barthes che quel che accomuna Sade, Fourier e Loyola è il fatto che tutti e tre fossero dei fondatori di lingue, prima ancora che di utopie, sacrifici o supplizi. Questo problema investe anche qualsiasi scrittore di fantascienza che, nell’immaginare un futuro, si trova costretto a inventarsi anche le parole che vadano assieme a quel futuro. Con l’aggravante che il loro lettore vive invece in questo presente e che quindi avrà bisogno sempre di qualche spiegazione per qualunque neologismo. Qui si gioca la riuscita o meno di ogni scrittura fantascientifica. Questo per dire che Philip Dick e William Gibson sì. Sterling e Egan a tratti. Paul Di Filippo con fatica.
Di Filippo costruisce un suo mondo pieno di organismi geneticamente inediti, in cui va considerato umano chi possiede almeno un 51% di patrimonio genetico umano (ibridato comunque con pezzi di altri animali). Chi è sotto il 51% è soltanto uno “spice” e dunque uno schiavo. Poi Di Filippo usa “eft” per dire dollari, “dirty harry” per poliziotto ecc... Il suo guaio è che non sa dove fermarsi. Ci sono intere frasi in cui le uniche parole di inglese corrente sono “if”, “then” e “watermelon”. E questo affatica la lettura (per non parlare dell’eventuale traduttore). Di Filippo è bravo a inventare, ma esagera. Come direbbero gli americani: “too much of a good thing”.


Dodge, Jim
Fup (1983)
Il nonno ha 99 anni e beve solo Ol’ Death Whisper, un whisky fatto in casa che lo rende immortale (o almeno così gli ha detto l’indiano che in punto di morte gli ha dato la ricetta). Tiny è il nipote e passa il tempo a costruire staccionate e a lottare contro il suo nemico mortale, un cinghiale di nome Lockjaw. Fup è un’anatra selvatica (Fup duck. Do you get it? Fucked Up) e si rifiuta di volare. Al drive-in ci vanno perché Tiny e il nonno amano i western (ma il nonno sta sempre dalla parte dei banditi), mentre Fup preferisce i film romantici. Poi Fup muore e risorge, Lockjaw muore e basta, Tiny smette di costruire staccionate e Jake, il nonno, muore il giorno dopo aver compiuto un secolo. E il suo ultimo pensiero prima di morire è “Well goddamnit, I was immortal till I died”.
Ma questo non è niente (è l’opera prima di Jim Dodge, lunga una cinquantina di pagine appena). Piuttosto vi consiglio (I suggest you, I urge you, I beg you, I implore you) di leggere Not Fade Away e soprattutto Stone Junction. An Alchemical Potboiler, un libro nel quale potrete anche scoprire come si fa a diventare invisibili. Non vi stupirà sapere che la prefazione gliel’ha scritta Thomas Pynchon.


Dominique, Antoine Louis
Le Gorille et le barbu (1955) – Le Gorille se mange froid (1955)
Prolifico è dire poco. Tra il ‘54 e il ‘61 riesce a scrivere più di 50 romanzi. Anno di grazia è il 1956 quando ne fa uscire uno al mese. Nel 1978 riparte con una collana tutta sua (edita da Plon) nella quale pubblica soltanto 21 nuovi titoli in sei anni. Chissà forse la vecchiaia.
Il suo protagonista è una “barbouze”, una spia un po’ ruspante (è così grande e grosso che lo chiamano il Gorilla), ancora lontana dai gadget tecnologici di 007, immersa in un mondo uscito da poco da una guerra mondiale in cui tutte le spie di tutti i paesi si conoscono per nome e si rispettano l’un l’altra.. Fa quasi tenerezza leggerlo ora, col suo gergo un po’ démodé, con i suoi tentativi mal riusciti di darsi uno stile originale (la nuit était picasseé d’étoiles), con le sue note a pie’ pagina per spiegare cos’è un Rosbiff, cos’è la Boite, cos’è un walkie-talkie. Insomma è un po’ naif, un po’ sempre tutto uguale, ma si lascia leggere. E poi perché mai dovrei giustificarmi se mi piacciono i libri di A. L. Dominique?


Doolittle, Hilda
Asphodel (1922) – End to Torment (1958) – The Gift (1960) – Tribute to Freud (1956)
Se cercate dei ragionieri in questa storia o almeno degli avvocati o dei medici, andrete delusi. Hilda Doolittle, poetessa, nasce a Bethlehem, Pennsylvania, il 10 settembre 1886. Al college conosce Williams Carlos Williams, si fidanza con Ezra Pound, poi, quando quello lascia gli Stati Uniti, s’innamora di Frances Josepha Gregg (studentessa di belle arti e futura poetessa). Arrivata a Londra ritrova Ezra Pound e diventa amica di D.H. Lawrence, ma il rapporto finisce male (H.D./D.H. era una storia nata male, fin dalle iniziali). Nel 1913 sposa Robert Aldington, poeta, qualche anno più tardi fa una figlia con Cecil Gray, musicista. La figlia si chiama Perdita e durante la Seconda guerra mondiale sarà una delle ragazze di Bletchley Park, il luogo in cui lavorava Alan Touring (se avete visto il film The Imitation Game, sapete di cosa sto parlando). Uno dei figli di Perdita, Nicholas Schaffner, sarà musicista, giornalista, nonché autore di libri sui Beatles e i Pink Floyd. Non c’è niente da fare, non c’è nessuno in questa storia che non abbia del talento, quello che si chiama “the gift”.
Nel ’19 Hilda conosce Bryher (Annie Winifred Ellerman), scrittrice e miliardaria. Sarà una relazione che durerà più di trent’anni. Una relazione che passa a tre quando Bryher sposa nel ’21 Robert McAlmon, scrittore, poeta, nonché autore del libro Being Geniuses Together (niente di meno). Nel ’27 Bryher, in capo a tre mesi, divorzia da McAlmon per sposare Kenneth McPherson, scrittore, fotografo e futuro regista. Il nuovo ménage à trois è particolarmente fertile perché vede la nascita di Close Up, la prima rivista di cinema al mondo che si basi sul presupposto che il cinema sia una forma d’arte (all’epoca non era così evidente). McPherson fonda anche una casa cinematografica, The Pool Group, e realizza vari cortometraggi, più un film di finzione, Borderline (1930) di cui Hilda è protagonista (vedi foto). McPherson dopo la guerra andrà a vivere a Capri, assieme al suo amante Algernon Islay de Courcy Lyons, fotografo. Alla sua morte, nel 1971, verrà sepolto a Cetona. La sua biblioteca personale verrà acquisita (grazie a Michele Canosa) dalla Biblioteca della Cineteca di Bologna “Renzo Renzi” (chiedete ad Anna Fiaccarini o a Cesare il permesso per consultarla).




Agli inizi degli anni ’30 Hilda Doolittle va in analisi, ma lei che è amica di Havelock Ellis (psicologo e sessuologo) non va da un analista qualunque, va direttamente dal numero uno: Sigmund Freud. Il resoconto che Doolittle pubblica nel 1956 è un capolavoro di reticenza. Freud è affascinato dalla cultura e dal talento di H.D., ma soprattutto è interessato alla sua bisessualità. Di tutto questo non c’è traccia nel libro. Di sesso non si parla mai. Hilda parla di miti greci, statuette etrusche, banalità familiari (Freud amava i cani, ma odiava i gatti: “sono come le scimmie, non ci danno la soddisfazione di essere come noi, né di essere i nostri nemici”). A un certo punto s’inventa una palla micidiale su delle figure che avrebbe visto materializzarsi su un muro di una stanza in Grecia, ma non dice nulla delle sue pulsioni sessuali. Parla volentieri della sua infanzia (ma di quella ne avevamo già abbastanza dopo aver letto The Gift). Parla anche di Pound (Freud si dice convinto che sarebbe stato capace di aiutarlo), anche se poi Pound non credeva alla psicanalisi. “Ti sei messa nella porcilaia sbagliata. Ma ne puoi sempre uscire fuori” dice a Hilda quando lei gli comunica di aver iniziato l’analisi. Ma, di nuovo, sul suo rapporto con Pound sapevamo già tutto dopo aver letto End to Torment. O meglio, non sapevamo granché visto che le sue reticenze anche qui sono colossali a partire dal fatto che ogni volta che Hilda scrive di essere stata fidanzata con Pound non manca mai di virgolettare la parola. Anche se poi è innegabile che sia stato lui a lanciarla, a troncarla nel nome e nel cognome, a trasformare la giovane e inesperta Hilda Doolittle nella celebre “H.D. Imagiste”.
Del suo rapporto con Pound ci sono tracce anche in Asphodel che è in realtà un roman à clef con Pound che diventa George Lowndes, Aldinton che si chiama Darrington e Bryher che diventa Beryl de Rothfeld. Il romanzo copre il periodo che va dall’arrivo di Hilda in Europa fino alla nascita di Perdita, ma naturalmente non è un romanzo convenzionale. È piuttosto un procedere per iterazioni ossessive, per echi letterari e linguistici, per immagini pure (la ragazza non per niente è Imagiste).
Siamo arrivati alla fine della storia e non ho accennato, se non di sfuggita, a quella che è stata la sua attività centrale, la poesia (ma per leggerla basta andare su Project Gutemberg). È che Hilda ha avuto una vita intensa, È sopravvissuta a due guerre, ha sofferto problemi fisici e mentali, ha viaggiato per il mondo, è andata a letto indifferentemente con uomini e donne, ha studiato i miti greci dell’antichità e ha esplorato le possibilità della moderna arte cinematografica, infine ha scavato profondamente nei confini della sua arte, la poesia. Credo che alla fin fine si sia divertita.

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