sabato 4 aprile 2015

Libri letti ultimamente COO-DAV


COO-DAV



Coover, Robert
Noir (2010)

Il noir è un genere troppo serio per lasciarlo in mano agli intellettuali. Robert Coover è quello di Whatever Happened to Gloomy Gus of the Chicago Bears? e soprattutto quello della Babysitter. Dunque è bravo a scrivere. Il suo amore per il genere noir non è in dubbio. La sua capacità di calco è quasi prodigiosa. Frase per frase, paragrafo per paragrafo qui non c’è nulla che sfigurerebbe in un romanzo hard-boiled classico. Peccato che la femme fatale che, nel primo capitolo, entra nell’ufficio del detective per ingaggiarlo, poi muoia già nel capitolo secondo. E poi torni in vita nel terzo per essere di nuovo la vittima sui cui indagare nel capitolo numero quattro. Fino a metà libro ho pensato che, forse, leggendo il tutto a capitoli alternati, sarei riuscito a trarne fuori un qualche senso. Fino a due terzi ho coltivato la speranza che Coover, con un colpo di mano, riuscisse nel finale a raccogliere il filo della narrazione in un qualche superiore disegno, imperscrutabile e geniale. Sono arrivato alla fine e ho pensato quel che ho scritto qui all’inizio: il noir è un genere troppo serio per lasciarlo in mano agli intellettuali.


Cortázar, Julio
Divertimento (1949) – Alguien que anda por ahí (1977) – Fantomas contra los vampiros multinacionales (1977) – Un tal Lucas (1979) – Queremos tanto a Glenda (1980) – Deshoras (1982)

È difficile trovare una foto di Cortázar in cui lui non avesse in bocca una sigaretta, una pipa, un sigaro. Lo so erano altri tempi. Quando bisognava alzar la voce col Tribunale Russell per far sapere a tutto il mondo degli orrori della dittatura argentina. Io ho fatto un fioretto: quello di arrivare a leggere tutto quello che ha scritto Cortázar in vita sua. Perfino quell’esordio zoppicante che è Divertimento. Perfino quando fa troppo l’intellettuale e diventa insopportabile (Un tal Lucas). Ma se non avete mai letto niente di suo, vi consiglio di cominciare con Rayuela. Che è quel gioco che si fa disegnando dei quadrati col gesso sul marciapiede e poi saltandoci sopra a zoppo galletto. E che in italiano dovrebbe essere “Campana”. Anche se poi viene tradotto con “Il gioco del mondo”. E che in inglese invece si traduce con Hopscotch, che è anche il titolo di un film di Ronald Neame, interpretato da Glenda Jackson. E noi vogliamo tanto bene a Glenda.


Crumley, James
One to Count Cadence (1969) – Dancing Bear (1983) – Hot Springs (racconto, 1996) – Hostages (racconto, 2002)

One to Count Cadence è la storia di un gruppo di soldati americani nelle Filippine (poi in Vietnam) che bevono come delle spugne, quando non vanno a troie. E che, quando non vanno a troie, fanno a botte come delle bestie. So, what’s new? È possibile che nel ’69 il romanzo di Crumley abbia destato scalpore per la violenza dello stile, oggi sembra un po’ datato e noioso (vedi le lunghe discussioni sull’etica dell’uccidere). Dancing Bear, invece, ha come protagonista il detective privato Milodragovitch, cocainomane, alcolista e psicopatico. Tutte le donne che incontra se lo vogliono portare a letto. Tutti i cattivi che incontra lo vogliono far fuori. Entrambe le cose per ragioni non immediatamente comprensibili. So what’s new? James Crumley è morto nel 2008 e molti ancora si chiedono come mai non abbia mai avuto il successo che secondo loro chiaramente meritava. Io no.


Daly, Carroll John
The False Burton Combs (racconto, 1922) – The Game Guy (racconto, 1925) – Lurking Shadows (racconto, 1926) – The Third Murderer (1931) – Just Another Stiff (1936) – Better Corpses (1940) – The Giant Has Fleas (racconto, 1947)

Come tutti sanno, il primo racconto del genere hard-boiled non è stato scritto da Hammett o da Chandler, bensì da Carroll John Daly. Negli anni Venti dicono che il suo nome in copertina garantisse un 10% in più di vendite per la rivista “Black Mask”. Ora, mi domanderete voi, come mai nessuno si ricorda più di lui? Provate a leggere i suoi romanzi, vi rispondo io. Nei tre che ho letto il protagonista è Race Williams, detective privato, svelto come un fulmine a sparare, neanche fossimo nel vecchio West. Lei è Florence Drummond, “The Flame, The Girl with the Criminal Mind”, a tratti un’innocente verginella e a tratti una femme fatale, spietata e priva di scrupoli. Insomma siamo in pieno feuilleton ottocentesco. Hammett era migliaia di chilometri più avanti.


Davis, Norbert
Red Goose (racconto, 1934) – The Price of a Dime (racconto, 1934) – The Rag-Tag Girl (racconto, 1936) – The Case of the Greedy Guardian (racconto, 1936) – Dead Man’s Chest (racconto, 1936) – Something for the Sweeper (racconto, 1937) – You’ll Die Laughing / Do a Dame a Favor? (racconto, 1940) – Holocaust House (racconto, 1940) – The Mouse in the Mountain / Rendezvous with Fear / Rich Dead Little Girl (1943) – Sally’s in the Alley (1943) – A Penny Saved Is Not Much (racconto, 1945) – Oh, Murderer Mine (1946)

Puoi essere uno scrittore mediocre o un genio, puoi comporre capolavori misconosciuti o illeggibili piattezze, ma se per caso uno dei maggiori filosofi del Novecento scrive a un amico americano che gli piacciono i tuoi racconti, quella è l’etichetta che ti resta addosso. Norbert Davis è, e sarà per sempre, lo scrittore che piaceva a Wittgenstein. Poi, Norbert Davis non è stato né un mediocre, né un genio, ma un buon praticante del genere. In particolare la serie che ha come protagonisti Doan e Carstairs è decisamente piacevole e percorsa da un umorismo deadpan, molto cerebrale. (Sarà questo che piaceva a Ludwig?). Doan è basso, grassottello e sveglio. Carstairs è grosso, imponente e taciturno. Più che altro Carstairs è un cane danese.
All’inizio di The Mouse in the Mountain, Doan si presenta dichiarando di essere un detective. “Ma non ne ha l’aria,” gli fa notare Janet Martin. “Chiaro che no,” risponde lui. “Sono in incognito, cerco di farmi passare per un turista”. “Ma allora perché va a dirlo in giro a tutti?” insiste Janet. “Il mio travestimento è così perfetto che nessuno si accorgerebbe che sono un detective se non glielo dicessi io, allora naturalmente glielo dico.” Ecco, io me l’immagino, e siamo solo a pagina tre, me l’immagino Wittgenstein che appoggia il dito inumidito sull’angolo del foglio per passare rapidamente a pagina quattro. E sorride.
  

Nessun commento:

Posta un commento