venerdì 11 ottobre 2013

Pop 1280 (4): Jean-Bernard Pouy manca il bersaglio




Jim Thompson – Pop. 1280, Gold Medal, 1964 (Black Lizard, 1990)
Marcel Duhamel (trad.) – 1275 âmes, Série noire 1000, Gallimard, 1966 (Carré noir 337, 1981)
Attilio Veraldi (trad.) – Colpo di spugna, La Gaia Scienza 186, Longanesi, 1983
Jean-Bernard Pouy – 1280 âmes, Baleine, 2000 (Points, 2003)

E comunque il mistero rimane. Un libro può anche cambiare nome da una lingua a un'altra. A volte perché la traduzione letterale del titolo è già stata usata e farebbe confusione. A volte perché il direttore marketing vuol mostrare di essere creativo e vuol fare confusione. A ognimmodo a nessuno verrebbe mai in mente di far uscire in Italia un libro intitolato I sette moschettieri, Venticinque anni dopo o Le mille e tre notti. I numeri normalmente restano uguali. Allora perché mai Maurice Duhamel decide di passare da 1280 abitanti a 1275? Che fine hanno fatto quei cinque poveri desaparecidos?

Questo è quello che si chiede Pierre de Gondol nel romanzo di Jean-Bernard Pouy. O meglio, è quello che chiede uno sconosciuto che entra nel negozio di Pierre de Gondol. Perché lui non è un detective, è un bouquiniste, un venditore di libri usati, ma molto spesso la ricerca di un libro andato perduto è tanto appassionante quanto la ricerca di un assassino.
Pierre si mette subito al lavoro e scopre l'episodio che Duhamel ha tagliato, quello dell'uomo col vestito a scacchi e della donna nuda sul pony pezzato. Aggiungete a questi il controllore del treno e abbiamo già trovato tre dei cinque personaggi scomparsi. Di lì in poi, però, invece di andare a scavare nel passato di Marcel Duhamel, il nostro eroe parte per gli Stati Uniti dove dà mostra di tutta la sua fighetteria da grenouille e di tutta la sua cinefilia raffinata (cita anche con le lacrime agli occhi Two Lane Blacktop di Monty Hellman, uno dei film preferiti di Franco La Polla). E chiude alla fine il libro con una soluzione che non serve a niente e non convince nessuno. In realtà si capisce benissimo che non sapeva come chiuderlo.

Il fatto è che Pouy scrive troppo (novanta libri circa in trent'anni). Oulipista convinto, riempie i suoi libri di riferimenti cifrati, omaggi nascosti, strizzate d'occhio, toccatine di gomito, “lingua sulla guancia” (tongue-in-cheek come dicono gli americani), insomma tutto il repertorio di tic nervosi tipici di un intellettuale francese.
Jean-Bernard Pouy, sia chiaro, è convinto che esistano anche forme di vita intelligente al di fuori di un libro, ma non tante. Non è al livello Enrique Vila-Matas che pensa che la vita reale sia poco più di una nota a pie' pagina nella storia della letteratura, ma ci va vicino. Con la differenza, poi, che Vila-Matas è un grande scrittore. Pouy un po' meno.
Io continuo a preferire i suoi romanzi anni Ottanta come Nous avons brûlé une sainte, Le cinéma de papa, Suzanne et les ringards. Per non parlare di quel brusco, acerbo e fulminante esordio intitolato Spinoza encule Hegel (Baleine, 1983). E per non parlare dell'intera serie che ha come protagonista Gabriel Lecouvreur, dit Le Poulpe.

Resta il fatto che scrive troppo. Qui aveva tra le mani un soggetto strepitoso (un mistero letterario che si trasforma in detection) e se l'è lasciato sfuggir via come un principiante. Tutta la parte americana del libro non è giustificata da nulla se non dal fatto che Iris, la fidanzata di Pierre De Gondol, è in quel momento in giro per gli Stati Uniti con una compagnia teatrale. E quindi a un certo punto i due si ritrovano in Texas. “On a mangé, bu et fait la bête à deux dos en emmerdant Jim Thompson, l'Art théâtral, les States, le Texas et les cinquante autre Etats” (p. 160). Ovvero hanno fatto la bestia a due schiene. Vous voyez le topo ou voulez-vous que je vous fasse un dessin?

Questa espressione l'avevo già trovata in San-Antonio e pensavo l'avesse inventata lui. Serge Le Doran, Frédéric Pelloud e Philippe Rosé, nel loro Dictionnaire San-Antonio (Fleuve Noir, 1993), la includono tra le 1252 espressioni usate da Frédéric Dard per indicare le varie posizioni amorose.
Ma mi sbagliavo. Perché l'inventore è in realtà Rabelais.
“(...) et fasoient eux deux souvent ensemble la beste à deux doz, joyeusement se frotans leur lard” sta scritto all'inizio del terzo capitolo di Gargantua.
Avevo iniziato questa serie di post con Rabelais. Era giusto chiudere con lui.

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