lunedì 22 giugno 2015

Libri letti ultimamente RAM-RON



RAM-RON

Ramírez, Sergio
Catalina, Catalina (racconti, 2001) – La fugitiva (2011)

Ci sono politici che hanno la velleità di fare gli scrittori (disgraziatamente Veltroni) e scrittori che diventano vice-presidenti del Nicaragua ai tempi del Frente Sandinista. E questo è il caso di Sergio Ramírez. La raccolta di racconti Catalina, Catalina, dà l’idea di uno scrittore solido e affidabile. La fugitiva conferma l’impressione di solidità. Peccato che sia un libro intimamente sbagliato. La storia è vagamente ispirata a un personaggio realmente esistito (la scrittrice costaricense Yolanda Oreamuno) che, dopo aver abbandonato il paese, muore ancor giovane in Messico, senza peraltro aver lasciato tracce indelebili nella letteratura mondiale. Ramírez finge (o almeno il suo protagonista finge) di andare a intervistare tre vecchie amiche della protagonista. Il problema è che queste tre ottuagenarie non parlano mai come se avessero una voce propria, ma parlano tutte con la voce dell’autore ovvero parlano come se stessero scrivendo un libro. Non appena s’affaccia un qualche personaggio, quelle s’affannano a dire tutto di lui, della sua ascendenza, della discendenza, del mestiere dello zio, della malattia della sorella minore, della casa in cui abitava e dell’architetto che aveva costruito quella casa e che ora era morto, come tutti sanno. Di fatto quello che espongono è il lavoro di documentazione che Ramírez ha lodevolmente fatto prima di cominciare a scrivere il libro. Però anche lui deve capire che metterlo in bocca pari pari a tre vecchie rimbambite è un’operazione più che maldestra. Sarà che io non ricordo neppure cos’ho mangiato a cena ieri sera, ma l’interminata memoria e la sicurezza nell’eloquio delle tre babbione sono un buon esempio di come non si scrive un romanzo.


Revert, Matthew
How to Avoid Sex (2012) – Basal Ganglia (2013)

L’australiano Matthew Revert è uno scrittore surreale. Frase che effettivamente non vuol dire nulla, quindi provo a spiegarmi. Revert prende una situazione, la svuota di ogni connotazione possibile e la presenta nuda e cruda al lettore. Concentration Tongue è un racconto che parla di una dipendenza. Revert avrebe potuto scegliere il gioco, la droga, il sesso, la cioccolata, internet, l’alcool o quello che vi pare. Avremmo avuto un racconto qualunque. Il personaggio di Revert invece scrive compulsivamente la parola shoes. Perde il lavoro per quello, perde gli amici, si rovina la vita, ma non può fare a meno di scrivere senza tregua la parola shoes. Lo stesso capita con How to Avoid Sex. Qui il problema è una relazione sessual-sentimentale a cui il protagonista non vuole cedere perché la ritiene repellente e immorale. Anche qui le possibilità erano varie (e tutte ampiamente esplorate in letteratura). Poteva trattarsi di una storia tra due persone dello stesso sesso, tra un minorenne e un adulto, tra un umano e un animale o tutto quel che può venirvi in mente. Revert sceglie la relazione tra un uomo e una sedia, visto che lui/lei (chair in inglese è neutro) gode se qualcuno le/gli si siede sopra. Lo so cosa state pensando. Che Revert è uno scrittore cerebrale. Effettivamente proprio in un cervello si svolge l’altro suo romanzo, Basal Ganglia. Ingrid e Rollo hanno deciso di ritirarsi dal mondo e si sono costruiti un rifugio/fortino strutturato esattamente come un cervello umano. Però a questo punto posso anche dirvi che la cerebralità di Revert è il male minore. Il problema vero è che la misura del romanzo non fa per lui (molto meglio i racconti). Revert ha delle buone idee, ma non le articola più di tanto in una trama. Il che, detto in italiano, significa che Basal Ganglia, con le sue cento e qualcosa pagine appena, è una palla mortale.


Ribas, Rosa
Entre dos aguas (2007)

Sarà che piove fitto a Francoforte. Sarà che la protagonista è un commissario della polizia tedesca (potete immaginare l’allegria). Sarà che la protagonista si chiama Cornelia Weber-Tejedor (ovvero Cornelia Tessitore Tessitore) ed è impegnata a far dimenticare le sue origini parzialmente latine per dimostrare a tutti di essere una tedesca affidabile e produttiva. Sarà che lei e i suoi collaboratori sono una banda d’incapaci da avanspettacolo (prima di un interrogatorio si riuniscono per decidere quali domande fare e ne compilano una lista e alla fine commentano che in fondo sono le solite domande che si fanno sempre in quei casi). Sarà che m’ha preso male fin dall’inizio. Però dovessi dire che vi consiglio di leggere i libri della catalana Rosa Ribas, attualmente residente in Germania, vi direi una bugia grossa come una casa.


Roncagliolo, Santiago
Abril rojo (2006) – Memorias de una dama (2009) – Oscar y las mujeres (2013)

Ma quant’è bravo il peruviano Santiago Roncagliolo! Memorias de una dama tratta di un aspirante scrittore che riceve l’incarico di scrivere le memorie di una ricca signora. Mettici le reticenze della donna, mettici i risultati delle sue ricerche personali tra Cuba e la Repubblica Dominicana, mettici il fatto che lui è squattrinato e per campare sta scrivendo anche un libro ambientato in Amazzonia (luogo in cui peraltro non ha mai messo piede), aggiungi che Roncagliolo è davvero bravo a scrivere, il risultato è che questo romanzo è una vera delizia. Sfortuna vuole che sia uscito solo in Spagna e poco più. Le vicende della dama adombrano infatti situazioni e personaggi reali i quali ultimi hanno pensato bene di denunciare Roncagliolo e di bloccare l’edizione del suo libro in quasi tutti i paesi del mondo. Oscar y las mujeres è il più debole dei tre perché è la storia di un autore di telenovelas e dei suoi guai personali che naturalmente s’intrecciano con le vicende della finzione. Ma definitivamente non è La tia Julia y el escribidor, purtroppo. Il più riuscito dei tre, però, è Abril rojo: la storia di un uomo ligio al dovere e ai regolamenti che viene spedito in provincia a far parte di una commissione elettorale in una zona dilaniata dalla guerriglia. Peccato che lui attraversi la scena come un Mr. Magoo peruviano, come un uomo caduto sulla Terra, come un alieno proveniente dal pianeta Qo’noS. Non si accorge di niente. Non capisce mai niente. E’ cieco e sordo. Un vero genio dell’incoscienza. Un gran bel libro.

lunedì 8 giugno 2015

Libri letti ultimamente PIÑ-QIU



PIÑ-QIU


Piñeiro, Claudia
Tuya (2005) – La viuda de los jueves (2005) – Elena sabe (2006) – Las grietas de Jara (2009) – Un comunista en calzoncillos (2013)

Piñeiro il botto da noi lo fa con Betibú (2011), ma in Argentina era famosa anche da prima. Piñeiro parla della medietà della classe media (Tuya), della povertà umana dei nuovi ricchi (Las grietas de Jara) e di quella dei nuovi ricchi quando ritornano poveri (La viuda de los jueves). Piñeiro parla dell’Argentina contemporanea. Solo una volta ricorda i tempi bui del passato (Un comunista en calzoncillos), ma lo fa con un libro per metà inconcludente e per metà raffazzonato di materiali non elaborati. Come se non avesse fatto in tempo a finirlo. O non ne avesse avuto voglia. O come se l’avesse scritto solo per rispettare i termini di un contratto. In ogni caso Piñeiro è brillante, è rapida, spesso sorprendente. A volerle trovare un difetto è un po’ leggerina, ma è comunque una goduria da leggere.
E poi c’è Elena sabe.
Elena è vecchia e ha il Parkinson. Elena ha una figlia, l’aveva. Ma quella s’è impiccata a una corda nel campanile della chiesa e l’ha lasciata sola al mondo. Ma Elena è sicura che le cose siano andate diversamente. Anche se la polizia continua a sostenere la tesi del suicidio, lei lo sa che sua figlia aveva paura dei fulmini e che non sarebbe mai andata vicino al campanile in un giorno di pioggia. Elena sa che c’è soltanto una persona, un’amica della figlia, che possa aiutarla a scoprire la verità. Ma sta dall’altra parte della città e per fare il viaggio ci vogliono ore, treni, taxi. Elena si ripete incessantemente i nomi delle strade da raggiungere perché ha paura di perdersi in una zona della città che non conosce. Elena soprattutto ha paura che il proprio corpo la tradisca. È per questo che prende le pillole. Tutto il romanzo è scandito dalle pillole che Elena prende e che le danno, ognuna, qualche ora di respiro dal Parkinson, ancora qualche ora di controllo sul proprio corpo. E dopo un po’ ti domandi se finiranno prima le pillole o prima il viaggio. E poi ti domandi se anche tu ce la farai ad arrivare alla fine del libro o se avrai bisogno di qualche pillola per sopportarlo. Perché anche a te tremano le mani. Anche se il libro che stai leggendo non è di carta e per andare avanti ti basta toccare lo schermo dell’e-reader. Lo sai che quando tocchi lo schermo ti tremano le mani. E poi quando arrivi alla fine della storia e scopri la verità, ti tremano le mani di nuovo.


Pouy, Jean-Bernard
Plein tarif (1994) – 54X13 (1996) – Train perdu, wagon mort (2003) – Nus (2007) – Mes soixante huîtres (2008) – Une brève histoire du roman noir (2009) – Samedi 14 (2011)

Il vero nemico di Jean-Bernard Pouy è la sua straordinaria facilità di scrittura. Lo mandano a seguire il Tour de France e lui se ne esce subito con un romanzetto (inutile) intitolato 54X13. Come trova due pomeriggi liberi lui si mette lì e ti elenca i suoi amori cinematografici (Je hais le cinéma, 2004). Se gli lasci due o tre ore di tempo lui non si tira indietro e scrive Mes soixante huîtres, sulla sua condizione di ex-soissantuitarattardé (ma il termina suona meglio in italiano: ex-sessantottardo). Io continuo a preferire i suoi primi libri, quelli pubblicati per la Série noire di Gallimard o per Baleine. Ma anche in tempi più recenti ha scritto delle cose interessanti. Samedi 14, per esempio è costruito bene e non è banale. A differenza di Nus che è una vera sciocchezza.
L’estrema prolificità pouyana è uno dei motivi per cui non ha mai avuto grande risonanza in Italia. L’altro motivo è che Pouy è uno che ci perde in traduzione. Pouy usa spesso l’argot. Un argot che non è più un gergo criminale e non ha nulla di regionalistico, che è naturalmente colloquiale, è quasi una seconda lingua, ma non ha equivalenti in italiano. E dunque pif non è il naso, tif non sono i capelli, pinard non è il vino. E roupiller non è dormire, né sonnecchiare, né schiacciare un pisolino, assopirsi, fare la pennichella, cadere nelle braccia di Morfeo, farsi un sonno, abbioccarsi, fare delle zeta. Roupiller è roupiller. Non c’è rimedio.


Qiu, Xiaolong
Death of a Red Heroine (2000) – A Loyal Character Dancer (2002) – When Red Is Black (2004) – A Case of Two Cities (2006) – Red Mandarin Dress (2007) – The Mao Case (2009) – Don’t Cry, Tai Lake (2012) – Enigma of China (2013)

Leggendo i libri di Qiu Xialong si imparano un sacco di cose. Il suo eroe, in realtà, da grande voleva fare il poeta o almeno il traduttore (ha tradotto in cinese La terra desolata di T. S. Eliot), poi il partito gli ha imposto di fare l’ispettore di polizia e lui ha ubbidito. Ma proprio per questo ogni due pagine cita qualche verso della poesia classica cinese. E ogni cinquanta pagine ci mette anche dei versi scritti in proprio. Ora, io non so niente di poesia classica cinese, però considerate il poeta Niu Xiji quando ricorda il momento in cui è stato abbandonato dalla donna amata. E tutto quello che ricorda è la sua gonna verde. E così scrive: “Con la tua gonna verde ancora in mente, ovunque / mi trovi, calpesto l’erba con leggerezza”.
Leggendo i libri di Qiu Xialong si imparano un sacco di cose. Per esempio che quel che offrono i ristoranti cinesi in Occidente è solo la centesima parte di una tradizione culinaria inesauribile. L’ispettore Chen Cao, ogni tre pagine, quando non cita passi della poesia cinese, si ferma a mangiare nei posti più impensati e alle ore più imprevedibili e ti racconta storie infinite di granchi, teste di carpa, cross-bridge noodles, senza farsi mancare nulla. Neppure la “cena crudele” quella col brodo di tartaruga viva e col cervello di scimmia mangiato a cucchiaiate direttamente dal cranio dell’animale.
Leggendo i libri di Qiu Xiaolong si imparano un sacco di espressioni (in inglese, lui è scappato dalla Cina dopo Tienanmen e scrive in inglese). Per esempio “big buck” (sono i nuovi ricchi), HC (che sta per “high cadre”), “piccola segretaria” (l’amante del capo), K-girl (è la ragazza karaoke, ma non necessariamente una prostituta). E soprattutto “fare nuvole e pioggia” che è la versione cinese, un tantino più sofisticata, di templar. Che è l’equivalente cubano del verbo coger. Che a sua volta è l’espressione che gli argentini usano... ma questa devo avervela già detta.