venerdì 27 settembre 2013

Pop 1280 (2): le scorciatoie di Marcel Duhamel




Jim Thompson – Pop. 1280, Gold Medal, 1964 (Black Lizard, 1990)
Marcel Duhamel (trad.) – 1275 âmes, Série noire 1000, Gallimard, 1966 (Carré noir 337, 1981)
Attilio Veraldi (trad.) – Colpo di spugna, La Gaia Scienza 186, Longanesi, 1983
Jean-Bernard Pouy – 1280 âmes, Baleine, 2000 (Points, 2003)

Nella collana “Série noire” il libro di Jim Thompson è il numero 1000. Marcel Duhamel all'epoca non faceva più tante traduzioni come negli anni Quaranta, quando un libro su due l'aveva tradotto o revisionato lui. L'ultimo a cui aveva messo mano era stato l'871 e in seguito avrebbe firmato solo il 1136 e il 1389. E poi più nulla. Ma a questo libro Duhamel ci tiene, si capisce che ci tiene. Questo libro è il numero 1000.

La prima cosa che fa Duhamel è portare tutto al presente (era il direttore della collana, poteva permettersi questo e altro), col vantaggio di schivare tutti i fûmes, êutes, tinrent, insomma tutti i passati remoti che in francese (come in italiano) sono così pesanti e difficili da maneggiare.

La seconda cosa è dar fondo a tutto l'argot e le espressioni idiomatiche che conosce. Per questo la sua traduzione è una festa. Quando nell'originale Nick dice qualcosa come sono sicuro che lui traduce je vous fiche mon billet. In due occasioni traduce fast con en deux temps et trois mouvements. Rosa dice a Lennie: You and Myra better stop playing tickle the pickle (T192) e Duhamel risponde con si tu continues à jouer de la clarinette avec Myra (D220). E ancora to diddle her fiddle (T191) diventa pour lui titiller le boulingrin (D219). Qualche capitolo prima Myra va alla fiera e si fa bella (ellle s'était donnée du tintouin pour se faire belle, D111), poi incontra Nick e she twisted and twitched and twittered (T95). Duhamel raccoglie la sfida con elle frétille, se trémousse et se tortille (D112). Veraldi non ce la fa e s'incarta in un orribile cinguettò, dimenandosi e contorcendosi (V88). A un certo punto Nick pensa it looked like I'd sold my pottage for a mess of afterbirth, as the saying is (T99). E s'imbroglia da solo perché la frase giusta è I sold my birthright for a mess of pottage. Ma Duhamel non s'imbroglia e controbatte con J'avais, comme on dit, vendu mon plat d'aînesse pour un droit de lentilles (D117). E quando Rose urla a Nick qualcosa tipo se mi lasci ti sparo, lui trova modo di confortarla dicendole che questo non succederà mai: that time ain't never gonna come (T85). Ma Nick è molto più rassicurante in francese quando dice in c'est pas demain la veille (D101).

Duhamel ci tiene e non si trattiene. Delle volte aggiunge delle frasi di suo. Per dire del direttore di banca che faceva sempre la stessa cosa alla stessa ora, aggiunge réglé comme du papier à musique (D25). Per far capire che Nick era stanco morto gli fa dire in più: Je serais même pas fichu de rentrer mon poing dans de la mousse au chocolat (D184). Nella sfuriata finale di Rose trova modo di aggiungere tre righe: Qu'est-ce que tu voudrais me faire croire? Que t'étais la queue de sa poêle et que vous faisiez sauter des crêpes? Ou que tu lui tricotais un gilet de flanelle, peut-être? (D219). Così senza nessuna ragione al mondo.
E poi la più bella di tutte. Ken Lacey è ubriaco, vuol far credere di aver fatto fuori i due papponi del bordello e dice: You know, I – hic! - took care of 'em (T55). Duhamel traduce splendidamente Je les ai … hic... quidés (D66). Ma non contento di questo nella pagina prima gli fa dire un'altra battuta che nell'originale non c'è: T'as jamais rien dit de plus vérid... hic, nom de nom! (D65). Come si fa a criticare uno che traduce così?

Certo anche lui le sue cantonate le prende (era il direttore, scriveva quel che voleva e soprattutto non pensava che a cinquant'anni di distanza un fesso qualunque come me sarebbe andato a fargli le pulci). E comunque to sass (T30) non vuol dire enrager (D37), ma insultare. The sheriff a couple of counties down the river (T18) non è uno sceriffo a capo di due o tre contee (D23), è lo sceriffo di due o tre contee più giù lungo il fiume. Così come si dice two doors down per dire due porte più in giù lungo la strada. E they'd be feeling their oats (T39) non vuol dire che erano ubriachi (D49) ma che si sentivano in cima al mondo. Oltre al fatto che hurry-up dye job (T132) non è nettoyer à la va-vite (D153), ma significa tingere in fretta. Ma sono dettagli. E poi chi sta a guardare?

Certo che anche lui le sue libertà se le prende (era il direttore, chi poteva dirgli qualcosa?). Nel capitolo 2 mancano tre righe a p. 9 e l'intero episodio (due pagine circa) della donna nuda sul pony pezzato. Nel cap. 4 manca la battuta di Buck: You're a thousand per cent right, Ken. I-I reckon there ain't nothin' less appetizin' than a cold horse turd (T27-28) forse perché Duhamel non l'ha capita. Viene tagliata una riga nel cap. 5, un'altra nel cap. 7, 10 righe nel cap. 11, una riga nel cap. 12, 9 righe nel cap. 13 (questa volta forse per pruderie), 10 righe nel 18, 7 righe nel 22 e una riga e mezza nel cap. 24.
A parte l'episodio della donna nuda si tratta di tagli del tutto ininfluenti. C'è da pensare che siano stati fatti semplicemente per far stare il libro nei suoi sedicesimi. L'idea non è peregrina se si considera che il periodo finale del cap. 5, per nessuna ragione apparente, viene spostato all'inizio del 6. E che il capitolo 14 viene unito al 13, portando così alla fine il conto a 23 capitoli invece che 24. Operazioni prive di senso, a meno che uno non abbia bisogno di risparmiare qualche pagina.

Ma c'è di più. All'inizio del capitolo 2 Nick si mette ai piedi i suoi seventy-dollars Justin boots (T5), che in francese si trasformano in mes bottes à soixante-quinze dollars (D11). Cosa c'è stata in mezzo, l'inflazione? Quando muore Tom, two, three hundred people (T131) si affrettano ad avvisare sua moglie Rose, ma in francese sono trois ou quatre cents personnes au moins (D152). Da dove viene fuori tutta quella gente in più? E perché quando Buck parla di una possibile condanna a thirty, forty years (T46) Duhamel li accorcia in vingt ou trente ans (D57)? Cosa c'è stato nel frattempo, un indulto? E perché quando si tratta di dare tre o quattro calci ben assestati a un cadavere (three or four good swift kicks, T70) questi diventano poi quatre ou cinq bons coups de pied (D84)? Cosa c'è che non va, Duhamel ha dei problemi coi numeri?

Ma soprattutto perché Pop 1280 diventa 1275 âmes? Uno può anche cambiare un titolo di un libro, traducendolo, ma perché cambiare un numero? E poi che fine mai avranno fatto quelle cinque, povere anime che si sono perse nella traslazione dagli Stati Uniti alla Francia? Su questo il mistero rimane. A meno che non abbia ragione Jean-Bernard Pouy. (à suivre)

mercoledì 25 settembre 2013

Pop 1280 (1): la dismisura di Jim Thompson




Jim Thompson – Pop. 1280, Gold Medal, 1964 (Black Lizard, 1990)
Marcel Duhamel (trad.) – 1275 âmes, Série noire 1000, Gallimard, 1966 (Carré noir 337, 1981)
Attilio Veraldi (trad.) – Colpo di spugna, La Gaia Scienza 186, Longanesi, 1983
Jean-Bernard Pouy – 1280 âmes, Baleine, 2000 (Points, 2003)

L'inizio è rabelaisiano. La mattina, appena sveglio, Nick Corey non mangia molto: mezza dozzina di costolette di maiale, qualche uovo fritto e una padella di focaccine con grits and gravy (una sorta di polenta di mais condita col sugo, un piatto tipico del Sud degli Stati Uniti). Poco più tardi esce per prendere un treno e si ferma a mangiare un boccone ovvero una porzione di catfish e un'altra se la porta dietro per il viaggio. Per sicurezza.
Del resto la notte ha dormito poco, gli capita da quando ha tutti questi problemi. Capace che ci mette anche venti, trenta minuti a prender sonno e poi, dopo neanche nove ore, è già sveglio di nuovo.
Tutto il racconto è in prima persona e quindi sappiamo poco del suo aspetto fisico, ma sappiamo che in quanto a donne (pour ce qui est de la chose traduce Duhamel a p. 11, d'ora in poi, per brevità, D11) lui ne aveva sempre avute tante, fin da ragazzino. Al punto che “Nick, mi dicevo tra me e me, dovresti metterci un rimedio, magari difenderti con una frusta o quelle ti consumeranno fino a farti morire”. Tutto questo nelle prime quattro pagine del libro.

C'è una dismisura in tutto questo. Una sproporzione che non è banale vanteria perché, andando avanti, Nick continua a mangiare come un maiale, a dormire non appena mette i piedi su un tavolo e a passare quasi senza sforzo dal letto di Rose Hauck a quello di Amy Mason.
Il racconto è in prima persona e dunque noi siamo lui, stiamo dalla sua parte, crediamo a quel che ci dice (non abbiamo alternative, del resto). In appena quattro pagine siamo precipitati nel mondo di Nick Corey. Che è anche quella cosa che riesce solo ai grandi scrittori.

Certo, a tratti, ci sembra di capire meglio di lui le situazioni, di vedere quel che lui non vede. Ci sembra di avere un margine. Quando si fa prendere a calci da Ken Lacey, quando l'uomo col vestito a scacchi bianchi e neri gli racconta la storia della donna nuda in groppa al pony pezzato, quando Myra lo incastra per farsi sposare e poi si porta un casa un semi-deficiente ben dotato (low-hung) facendolo passare per il suo fratellastro, in tutti questi casi a noi sembra che lui sia proprio uno stupido. Il seguito prova che avevamo torto.

Il fatto è che Nick non vuole del male a nessuno. È lo sceriffo di Pottsville, ma non vuole mettersi in urto con nessuno. “Non posso dire che hai ragione, ma non posso neppure dire che hai torto” è la frase che ripete più spesso, almeno sette volte, durante tutto il libro.
Tutti dicono che è stupido, ma è per questo che lo eleggono. Who wants a smart sheriff? (Thompson, p. 7, d'ora in poi per brevità T7). E poi non puoi prendetertela con me se sono stupido perché they's lots of stupid people in the world (T7).
E poi, non è meglio girare le spalle ai problemi piuttosto che guardarli dritto in faccia? Because me I haven't got no very strong convinctions about anything. Not any more I haven't (T56).

Dunque nessuna convinzione. Se Nick agisce è perché lo costringono a farlo. Quando incontra per la prima volta Myra alla Fiera lui capisce subito che lei ha buggers in her bloomers e chiggers on her figger (T95). Cosa che Duhamel, non riuscendo a conservare le assonanze, rende con fourmis dans les pantalons et des démangeaisons dans le calcif (D113). E che Veraldi, ancor meno immaginativamente, traduce con doveva averci le formiche in quel posto o il fuoco sotto o com'è che si dice (Veraldi p. 88, d'ora in poi, per brevità, V88).
Insomma Nick capisce benissimo che lei ha le mutande in fiamme, ma quel che più lo preoccupa è che, se lui non ci mette un rimedio, quella rischia di metter a fuoco “l'intera Fiera e così ci sarebbe stato il panico e migliaia di persone sarebbero morte nella relativa ressa, per non parlare dei danni alle proprietà” (V88).
E l'unico rimedio che a lui venga in mente è quello di portarla in un albergo. Non è che lui ne abbia una gran voglia. Lo fa solo per evitare “la morte di migliaia di donne e di bambini innocenti” (V88). Capite allora di cosa parlo quando parlo di dismisura.

Ed è così che piano piano, per slittamenti progressivi, questa dismisura si allarga e il mondo di Nick si allontana sempre più dal mondo usuale. Un po' per pretesa idiozia, un po' per arguzia banale, un po' perché il mondo è una merda e Pottsville è il buco del culo del mondo (T209), Nick riesce a convincerci che quel che fa non è uccidere quattro persone e provocare la morte di altre due. Quel che fa è la sua missione sulla Terra. È il Signore a indicargli chi colpire. Lui come al solito non vorrebbe, ma non può sottrarsi al compito. E noi che l'abbiamo seguito fin lì, come potremmo non credergli? (à suivre)

mercoledì 18 settembre 2013

Donna Tartt sulla poltrona del dentista




Sarà capitato anche a voi di avere mal di denti. Certo, mi risponderete voi, ma come possiamo essere sicuri che il nostro mal di denti sia la stessa cosa del tuo mal di denti? Da quando avete letto Wittgenstein (Ricerche filosofiche) siete diventati insopportabili. Sappiatelo. Allora ricominciamo da capo.

Sarà capitato anche a voi di andare dal dentista. L’esperienza in genere non è piacevole, ma posso consigliarvi due o tre regole facili facili per non avere paura e per difendervi dal dolore.
La prima è non guardare e non sapere. Quando lui/lei cerca di spiegarvi con dovizia di particolari quante e quali truculente operazioni intende fare nel vostro cavo orale, voi troncate il discorso e, con il coraggio che solo gli antichi romani sapevano mostrare, dichiarate che volete cominciare subito, sine ulla mora.
A quel punto chiudete gli occhi e rilassatevi. Attorno a voi ci sono trapani sinuosi e acuminati strumenti partoriti dalla fantasia di un trovarobe da B-movie, ma voi non degnateli di uno sguardo. L’orrore sta nell’occhio di chi guarda, sta nell’attesa. La realtà è sempre meno tragica di quel che riusciamo a immaginare.

Il secondo consiglio è: concentratevi sul vostro polpaccio sinistro. Se state bene attenti potete sentire il sangue che scorre al suo interno, potete risalire anche lungo la femorale o scendere giù fino all’alluce del piede. Questo v’impedirà di pensare almeno per un po’ che avete una bocca nella quale sta succedendo chissà cosa. Naturalmente il discorso non cambia se scegliete il destro, di polpacci. Lo dico perché so che siete pignoli. E anche un po’ biondi.

La terza misura è quella decisiva.  Per tutto il tempo della seduta non pensate a niente, sgombrate la testa e recitate un mantra. Avete presente la preghiera incessante di Franny Glass nel racconto di Salinger? Qualcosa del genere. Tranne che la frase da ripetere non deve diventare automatica, sennò perde ogni effetto. Tanto varrebbe allora recitare il rosario con tutti i pater, ave e gloria detti d’un fiato, quasi senza pensare. Il consiglio infatti è di scartare l’italiano. Meglio prendere una frase da una lingua straniera. Così state più attenti. Magari una frase da un libro a cui tenete particolarmente. La imparate a memoria e da quel momento nulla vi potrà più accadere.

Il mio mantra personale dei miei ultimi vent’anni di forzata convivenza col dentista dice così:

The snow in the mountains was melting and Bunny had been dead for several weeks before we came to understand the gravity of our situation.

Bunny, non so se ve lo ricordate, è Edmund “Bunny” Corcoran, quel ragazzetto insopportabile che a un certo punto ricatta Henry e tutti gli altri, tanto che Henry è costretto a portarselo dietro in Italia dove lui (Bunny) si porta dietro, tra le altre cose, una copia della Divina Commedia tradotta da quell’altra rompicoglioni della Sayers e che naturalmente finisce male (sempre Bunny, non la Sayers), ma questo lo sapevamo già, visto che Donna Tartt ce lo dice fin dalla prima riga.
Avete presente di chi sto parlando, no? Oppure volete dirmi che non avete mai letto The Secret History (Knopf, 1992; Dio di illusioni, Rizzoli, 1992)?

Un’ultima raccomandazione. Il mantra va tenuto segreto. Inutile andarlo a raccontare in giro a mezzo mondo, altrimenti smette di funzionare. Infatti io a questo punto dovrò trovarne un altro. Per fortuna il 22 ottobre esce The Goldfinch, il nuovo romanzo di Donna Tartt.

mercoledì 11 settembre 2013

Gli intraducibili (5): American Tabloid



Il realtà il libro di Ellroy è traducibilissimo e infatti è uscito in Italia per la Mondadori.
Il problema è che Ellroy ha uno stile asciutto, quasi scheletrico. La leggenda vuole che, dovendo ridurre White Jazz da 900 a 400 pagine, lui si sia messo lì e abbia tagliato tutti gli articoli e tutto quello che si poteva tagliare senza eliminare una sola frase. Lui poi sostiene che non era White Jazz, ma L. A. Confidential, ridotto da 800 a 635 pagine, ma perché dovremmo credergli? Ellroy scrive così perché vuole scrivere così.
Ellroy ha uno stile martellante. Tutte frasi brevi, una dietro l'altra. Anafore come se piovesse e allitterazioni a ogni canto di strada. Se fosse un brano musicale si direbbe che usa un ritmo sincopato. Se fosse un film avrebbe un montaggio a pezzi brevi. Ma dato che è un testo letterario parliamo di paratassi per asindeto.
Ellroy fa un uso insistito di termini gergali e più in generale della grande, sterminata, spregiudicata varietà lessicale che l'inglese contempla, della sua inesauribile plasticità. Tutto questo in italiano non viene bene. E non è che la traduzione sia scadente. È l'italiano che non regge la sfida.
Provo a fare tre esempi, ma potrei farne trecento:

1) “If he knew he would have fungooed Kemper Boyd.” (Ballantine, 1995, p. 431)
To fungoo è un verbo strano, non proprio di uso comune e non proprio da educande. È esattamente quello a cui state pensando, se state pensando a quella tipica espressione italiana. La versione Mondadori dice: “Se l'avesse saputo, avrebbe silurato Kemper Boyd.” (Oscar Bestsellers 771, 1997, p. 535). Ed è la traduzione giusta, non c'è niente da fare. Ma non è la stessa cosa.

2) “Fulo's car dipsy-doodled across the runaway.” (p. 240)
Doodle vuol dire scemo, sempliciotto. “Yankee Doodle” cantavano le truppe inglesi prima della Rivoluzione per prendere in giro l'esercito yankee. Deriva dal tedesco Dudeln (ovvero suonatore di cornamusa, dudelsack) ed è forse all'origine del termine dude. To doodle vuol dire scarabocchiare disegni a caso, distrattamente, pensando ad altro. To doodle vuol dire procedere a zigzag, anche in maniera losca e circospetta. I doodles sono le varianti (i re-design) del logo di Google.
Dipsy è l'aggettivo derivato di dipso che è la forma breve di dipsomaniac, ubriacone. Dipsy è anche qualcosa a metà tra drunk e tipsy, quindi inebriato, ma non ubriaco fradicio. Nel gergo del football americano dipsy-doodle è la finta. To dipsy-doodle quindi dovrebbe voler dire muoversi non in linea retta, come un ubriaco, apparentemente a caso, ma con l'intento segreto di ingannare chi ti guarda.
La versione italiana dice: “L'auto di Fulo attraversò furtiva la pista di atterraggio” (p. 301). Ed è giusto così. Avrebbe potuto dire di sghimbescio o a scatti e sarebbe andato ugualmente bene. Resta il fatto che l'originale è più ricco, è più evocativo. È un'altra cosa

3) “And for every month you go unfucking-subpoenaed...” (p. 7)
Questa è complicata. In inglese, per chiamarti a testimoniare a un processo, si usa un termine latino: subpoena. Da cui il verbo to subpoena somebody che vuol dire citare qualcuno in giudizio. Naturalmente se non ti fai trovare e il messo del tribunale non può consegnarti il documento, puoi anche andare avanti per un po' e schivare il processo. Finche non ti beccano.
Howard Hughes non vuole presentarsi al processo TWA, per questo il suo sgherro Pete Bondurant lo chiude nel bungalow di un hotel e contemporaneante ingaggia dei sosia e li piazza nei luoghi più disparati d'America, propala leggende su inesistenti viaggi all'estero, insomma fa di tutto perché nessuno possa rintracciarlo. In particolare corrompe i responsabili dell'albergo dando loro, per ogni mese in cui Hughes la fa franca, una ventina di azioni della Hughes Tool Company. Ovvero, dice Pete: “And for every month you go unfucking-subpoenaed I give them twenty shares...”. La traduzione italiana, e non c'è verso è quella giusta, dice: “Per ogni mese che riesci a evitare il mandato di comparizione...” (p. 13).
Ora considerate questo. Pete Bondurant è il tuttofare del miliardario Howard Hughes, ma soprattutto è quello che gli procura la cocaina, l'eroina, la morfina e tutto il resto. Lui, di suo, in realtà farebbe il killer, tant'è vero che un po' di tempo prima ha ammazzato anche il proprio fratello, un medico che procurava aborti illegalmente, ma l'ha fatto senza volere, mentre faceva fuori altra gente. I suoi genitori, quando l'hanno saputo, gli hanno telefonato pregando il cielo che non fosse vero. Qualche giorno dopo l'hanno fatta finita, attaccati al tubo di scarico dell'auto. Quando non smercia droga e non uccide, Pete organizza estorsioni assieme alla sua socia Gail. Lei adesca mariti frustrati in albergo e lui arriva al momento giusto a fotografare la scena. Ora un tipo così non direbbe mai “per ogni mese che riesci a evitare il mandato di comparizione” perché questo è il modo di esprimersi di un avvocato. E Pete non è un maledetto avvocato, he's not a damned lawyer, a sleazy shyster, a shitty mouthpiece, a lousy ambulance chaser, he's a dealer, he's a killer, he's a shakedown artist. Per questo dice “unfucking-subpoenaed”.

A questo punto è chiaro perché, quando dico ai miei amici che American Tabloid è un grandissimo libro, alcuni di loro mi rispondono che sì, effettivamente non è male. Non è colpa loro. Non è colpa della traduzione. Non è colpa di nessuno. È l'ombrello della zia del giardiniere.

lunedì 2 settembre 2013

Dorothy Sayers e il suo Gorgonzola




Dorothy Leigh Sayers se la tira. Non per nulla è stata tra le prime donne inglese a laurearsi a Oxford (nel 1920, prima non era previsto che le donne si laureassero). Non per nulla ha tradotto in inglese La divina commedia, ha scritto poesie, lavori teatrali e saggi d'argomento teologico. Non per nulla è tra le pochissime persone al mondo ad aver usato in un libro la parola ipecacuanha (Clouds of Witness, 1926, Gli occhi verdi del gatto).

Il suo personaggio più famoso si chiama Lord Peter Death Bredon Wimsey. È un celebre bibliofilo, è dotato di una cultura sconfinata, è il migliore giocatore di cricket che sia mai sceso sulla Terra e in più risolve casi criminali, come ogni buon detective dilettante di quel periodo.
Naturalmente è snob. Uncommonly worryin' for him, old chap, commenta, quando gli dicono che suo fratello Gerald è in galera con l'accusa di omicidio (Clouds of Witness).
Naturalmente ama citare poeti e letterati ogni due per tre: I have a quotation for everything – it saves from original thinking, dichiara in Have His Carcase (1932, Alta marea per Lord Peter).
Difficile immaginare la sua faccia. Al suo primo ingresso in letteratura (Whose Body?, 1923, Peter Wimsey e il cadavere sconosciuto) viene presentato così: His long, amiable face looked as if it had generated spontaneously from his top hat, as white maggots breed from Gorgonzola.

In The Nine Tailors (1934, Il segreto delle campane) scopriamo anche che è un notevole campanologo, qualsiasi cosa questo voglia dire. Il che non impedisce a Edmund Wilson di definire il libro: one of the dullest books I have ever encountered in any field (Who Cares Who Killed Roger Ackroyd?). Ma Wilson dice così solo perché non ha mai letto Gaudy Night (1935, misericordiosamente inedito da noi).

A un certo punto Lord Peter sposa Harriet Vane che di mestiere fa la scrittrice di romanzi polizieschi di successo (ma va?). In Busman's Honeymoon (1937, inedito in Italia et pour cause) i due vanno appunto in viaggio di nozze. Si amano, si guardano, si capiscono a un battito di ciglia, si parlano in francese. Quando lui cita il penultimo verso dell'ultima stanza del poema dimenticato di un poeta minore, lei prontamente gli risponde col verso finale. I due sembrano cibarsi di Tennyson a colazione, di Wordsworth all'imbrunire e di Shakespeare il resto del tempo. Da ammazzarli.

Come se non bastasse, Dorothy Sayers ha fatto anche altro nella vita. Dal 1922 al 1931 ha lavorato per l'agenzia di pubblicità S. H. Benson. È lei l'autrice di una fortunata campagna per la senape Colman, nonché di una simpatica quartina che ha come protagonista il Tucano della Guinness.

If he can say as you can
Guinness is good for you
How grand to be a Toucan
Just think what Toucan do



Non so se se ne vergognasse particolarmente, sta di fatto che nel 1933 trova il modo di vendicarsi. Murder Must Advertise, uscito in Italia col titolo vagamente lacaniano di Lord Peter e l'altro, è la storia di un traffico di droga gestito dall'interno di un'agenzia pubblicitaria. 
All advertisers are dope merchants (…) there is a subtle symmetry about the thing which is extremely artistic (p. 204, NEL, 1978).
Ma esiste almeno un fondo di verità nel meccanismo pubblicitario?
Truth in advertising,” announced Lord Peter sententiously, “is like leaven, which a woman hid in three measures of meal. It provides a suitable quantity of gas, with which to blow out a mass of crude misrepresentation into a form that the public can swallow.” (p. 65).
La condanna morale è netta: I think this is an awfully immoral job (p. 48).
Poi, certo, capita che a p. 169 il giornalista Hector Puncheon entri in un pub e dica: Oh I think I'll have a Guinness. (…) Guinnes is good for you – particularly on a chilly morning.
E nel racconto Sleuths on the Scent capita di leggere la seguente frase: Another man, with his hat and Burberry on, was ordering Guinness.
Capita infine che in Strong Poison (1930, Veleno mortale) si trovi quest'altro accenno: At 11 o'clock Boyes had a Guinness, observing that, according to the advertisements, it was 'Good for you' (p. 14, NEL, 1977).
Saranno coincidenze, certo. E poi, chi sono io per accusare Dorothy Leigh Sayers di fare della pubblicità occulta?