sabato 16 maggio 2015

Libri letti ultimamente LOU-McC





LOU-McC


Loughran, Peter
Dearest (1983)

Il primo libro di Loughran s’intitola The Train Ride ed è del 1967. Poi più nulla fino al 1983 con Dearest (a cui faranno seguito soli altri due titoli). I dati anagrafici di Loughran, peraltro, sono scarsi e disparati. Tutto questo basta perché nella mente di un critico francese, un perditempo di nome Thierry Cazon, si faccia strada un’ipotesi. Loughran ricomincia a scrivere nel 1983 che è esattamente il momento in cui smette di scrivere James Hadley Chase. E come tutti sanno, i libri di James Hadley Chase non li ha mai scritti James Hadley Chase, ma il suo amico Graham Greene. Dunque...
Ora, vi dirò la verità. Se questo libro è stato scritto da Graham Greene io sono Papa Giovanni Ventitreesimo. Dearest non è soltanto scritto male, ma è pensato male. Per tutta la prima parte seguiamo con fatica i pensieri più intimi di un tassista inglese. Un uomo che ci tiene a farci sapere la sua opinione su tutto, sulle donne, sulla politica, sul tempo, sull’immortalità dell’anima, sulle pulizie domestiche. E in particolare sulla sua donna che sì, sarà pure una sbandata, stronza, vagamente ninfomane, ma non per questo merita di essere massacrata e poi sepolta nel retro del camino di casa. Quando arriviamo a capire che quelle che stiamo leggendo sono le memorie di un assassino psicopatico ormai è fatta. Il personaggio è sgradevole, il libro pure. E non c’è redenzione possibile. Ora, quando tornate a casa e trovate il vostro critico francese preferito, dategli pure uno schiaffo. E ditegli che quello è lo schiaffo del Papa. Cioè il mio.


Madrid Juan
Un beso de amigo (1980) – Un trabajo facil (1984) – Flores el gitano (1989)

E dire che a me Juan Madrid era simpatico. Días contados (1993) non era un brutto libro. E la raccolta di racconti Un trabajo facil è piena di squarci interessanti, vicende appena accennate, atmosfere intriganti. Perfino Un beso de amigo funziona discretamente. Poi sono arrivato a Flores el gitano. Il numero di pagine (429) avrebbe già dovuto mettermi in guardia. Il libro, il primo di una serie, è di fatto un tie-in di una serie televisiva che in Spagna ha avuto un grande successo. Flores è il capo di una squadra speciale, è naturalmente il più bravo poliziotto della penisola, ha naturalmente un carattere di merda, è naturalmente adorato dai suoi collaboratori tra i quali spicca Carmela, una che si sarebbe facilmente laureata Miss Universo, ma che invece preferisce rischiare la vita a fare la poliziotta accanto a Flores. Insomma un diluvio di luoghi comuni in una vicenda che procede stancamente. Ah, dimenticavo: a un certo punto si capisce che Flores è teso, molto teso. E Madrid lo definisce “teso come una corda di violino pronta a strapparsi”. A quel punto manca soltanto che Madrid ci spieghi che gli occhi sono lo specchio dell’anima.


Manchette, Jean-Patrick
La position du tireur couché (1981)

Non riuscirò mai a capire l’entusiasmo (tutto francese) attorno al nome di Manchette. Anche questo La position du tireur couché non è male, ma non è esaltante. O comunque non più esaltante dei libri di Thierry Jonquet, Jean-Bernard Pouy, Didier Daeninckx o Daniel Picouly. L’unica spiegazione che riesco a darmi è che Manchette è arrivato prima. Lui inizia negli anni ’70 (gli altri un decennio dopo, Picouly anche più tardi) e questo può spiegare perché si pensa a lui come al capostipite di una nuova ondata del noir francese. In ogni caso, a leggerlo adesso, non c’è nulla di esaltante.


Markson, David
Epitaph for a Tramp (1959) – Epitaph for a Dead Beat (1961) – The Ballad of Dingus Magee, Beeing the Immortal True Saga of the Most Notorious and Desperate Bad Man of the Olden Days, His Blood-Shedding, His Ruination of Poor Helpless Females, & Cetera (1965) – Wittgenstein’s Mistress (1988) – Reader’s Block (1996) – This Is Not a Novel (2001) – The Last Novel (2007)

La leggenda vuole che David Markson, prima di concepire i suoi capolavori, abbia scritto due o tre romanzetti di genere, giusto per riuscire a pagare l’affitto a fine mese. Disgraziatamente la verità è un’altra. Markson ha scritto un paio di gialli decisamente gradevoli (i due Epitaph), più un’esilarante, irrefrenabile, deliziosa satira western intitolata The Ballad of Dingus Magee. Poi s’è fatto il viaggio di essere uno scrittore vero (peggio, uno scrittore postmoderno) e l’ha fatta fuori dal vaso. Wittgenstein’s Mistress è ancora ancora un romanzo. E la storia di Kate, l’ultima donna rimasta sulla Terra che ora vive al Louvre (dove brucia le cornici dei quadri per scaldarsi), al Prado o, più in generale, in giro per il mondo, Un mondo che è deserto, ma anche stranamente migliorato. Le acque della Senna e del Tamigi, per esempio, in mancanza di presenze e attività umane, sono tornate potabili.
Gli ultimi tre titoli, invece, non sono più neppure dei romanzi. Sono “an assemblage, non-linear, discontinuous, collage-like” come li definisce lo stesso Markson. Di fatto sono un centone di aneddoti. Una caterva di trivia, come li chiamano gli americani, ma non sulla figlia del fornaio o sul farmacista bensì su artisti, pittori, scrittori, musicisti e quant’altro. Scopriamo così che Arnold Schoenberg e George Gershwin erano compagni di tennis. Che Shakespeare e Cervantes sono morti apparentemente lo stesso giorno, il 23 aprile 1616 (in realtà a dieci giorni di distanza per via dei differenti calendari). Che la prima traduzione inglese di Madame Bovary è stata fatta da una figlia di Karl Marx. Che Auden definiva Rilke “la più grande poetessa lesbica dopo Saffo”. Che Kandinskij, Tennyson, Nietzsche e Maria Callas erano miopi. Che Montaigne non sapeva nuotare e sfortunatamente neanche Shelley. Che Wittgenstein suonava il clarinetto e Malcolm Lowry l’ukulele. Che Kipling è stato (probabilmente) il primo scrittore a possedere un’automobile. E Conan Doyle (probabilmente) il primo inglese a prendere una multa per eccesso di velocità. Che al funerale di Musil erano presenti solo otto persone. Appena a tre a quello di Stendhal. E una sola al funerale di Leibniz (il suo segretario). Che Prokofiev muore lo stesso giorno di Stalin. Aldous Huxley lo stesso giorno di John Fitzgerald Kennedy. E Nathanael West lo stesso giorno di Francis Scott Fitzgerald (e i due erano stati a cena assieme appena una settimana prima). Insomma, più che romanzi, sono delle miniere d’oro per i redattori della “Settimana enigmistica”. In particolare per le rubriche Spigolature, Strano, ma vero e Forse non tutti sanno che.


Martínez, Guillermo
Acerca de Roderer (1993) – La muerte lenta de Luciana B. (2007)

Di Martínez avevo già letto Crimenes imperceptibles (portato poi al cinema da Alex de la Iglesia col titolo Los crimenes de Oxford) e m’era piaciuto. Io, del resto, ho un debole per gli scrittori che hanno studiato matematica, quindi con me Martínez gioca facile. Acerca de Roderer, la sua opera prima, è un bel romanzo di formazione/dissoluzione. Nel senso che il protagonista alla fine andrà a studiare logica a Cambridge, mentre Roderer morirà in preda alla follia. Si gioca a scacchi, si discute di indecidibilità, si parla del teorema di Gödel e di quello di Seldom (che è anche il nome del professore di Los crimenes de Oxford, cosa che fa di questo romanzo quasi un prequel). Con La muerte lenta de Luciana B., invece, precipitiamo nel buio fitto. Luciana B. è convinta che il celebre scrittore Kloster voglia ucciderla. E che nel recente passato le abbia già ucciso un fidanzato, un fratello, la madre ecc... Kloster, da parte sua, nega l’ipotesi e ha gioco facile nel dimostrare che tutte quelle morti sono accidentali. E il bello è che il libro alla fine non scioglie il dubbio. Si dà il caso cioè che l’espressione “Kloster ha ucciso il fidanzato di Luciana B.” non sia né dimostrabile, né confutabile all’interno del libro. Ovvero che sia indecidibile. Un po’ come lo è l’aritmetica di Peano secondo il teorema di Gödel. Non vi avevo detto che Martínez ha studiato matematica?


McCoy, Horace
Frost Rides Alone (racconto, 1930) – The Mopper-Up (racconto, 1931) – Bombs for the General (racconto, 1932) – Trapped by Silver (racconto, 1933)


 A McCoy l’ha rovinato dal cinema. (Un altro come lui è Jonathan Latimer). Nel senso che se non avesse perso metà della vita a lavorare dietro a sceneggiature di scarso rilievo, chissà quanti altri libri sarebbe riuscito a scrivere. Così com’è, ne ha firmati appena sei. Ma con uno di questi, Non si uccidono così anche i cavalli?, si è preso anche una bella rivincita, perché uno dei suoi migliori romanzi (che all’epoca nessuno studio cinematografico voleva, costringendolo invece a scrivere sciocchezze di serie B) è diventato anche un grande film di Sidney Pollack. I quattro racconti che ho trovato on line non sono niente di clamoroso. Ma andatevi a leggere Kiss Tomorrow Goodbye o No Pockets in a Shroud o I Should Have Stayed Home o Scalpel o Corruption City e poi ne riparliamo.

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