DUJ-EMA
Dujardin, Édouard
Les lauriers sont
coupés (1888)
James Joyce ammette di essersi ispirato, per la tecnica del
monologo interiore, al libro di Dujardin Les
lauriers sont coupés. Questo basta a ritagliare per Dujardin un luogo nella
storia della letteratura. Peccato che il libro sia di una noia mortale. Il
monologo interiore (in particolare un libro tutto scritto in monologo
interiore) ha un grosso difetto: tutto quello che veniamo a sapere della storia
proviene da un’unica fonte: dalla voce narrante. Tutto quel che sappiamo,
allora, è che il protagonista è perdutamente innamorato dell’attrice Lea
D’Arsay, una donna che lui ama e rispetta. Si vedono a casa di lei, vanno in
giro in carrozza, ma lui non la tocca neanche con un dito perché lei è un angelo,
un essere superiore. Soltanto a metà libro cominciamo a capire che in realtà
questa è una stronza assetata di denaro che si fa praticamente mantenere da
quell’idiota del protagonista, mettendogli anche le corna, ma senza concedergli
neanche un bacio o un’effusione un po’ ardita. Solo che a quel punto il libro
si è già liquefatto e la vostra capacità di sopportazione è ormai giunta al
limite.
The Bloody Spur / While the City Sleeps (1953)
È chiaro che con un cognome così fai fatica a farti prendere
sul serio come scrittore. Tant’è vero che il suo fratellastro Albert è stato costretto
a farsi chiamare Albert Brooks per poter cominciare la sua carriera di attore
(con Taxi Driver di Scorsese, no less). Ma Charles forse non ha mai
avuto grandi aspettative riguardo alla storia della letteratura. La sua vera
passione è stata il giornalismo. The
Bloody Spur (che nel 1956 Fritz Lang portò al cinema col titolo Quando la città dorme) è effettivamente
un giallo con tanto di serial killer, è vero. Ma quel che vi resta in mente alla
fine è l’intreccio di interessi, corruzione e meschinità che si scatena nella
redazione di un giornale. Alla fine del libro ne saprete di più su come gestire
le notizie via telex, come si fa una ribattuta, come si compone un titolo a
tutta pagina. Del colpevole della vicenda, il Lipstick Killer, non vi ricorderete neanche il nome.
Ellman, Richard
James Joyce (1959, rev. 1982)
Le biografie sono fatte così, nel raccontare la vita di un
genio non si fermano davanti a nulla, nemmeno alla lista dei calzini da mandare
in lavanderia (cfr. Woody Allen, The
Metterling Lists). Del resto è
così che si arriva a 744 pagine (più 68 di note). Per esempio, chi è che nel
1922 va a Cannes a comprare delle cravatte per Joyce? Robert McAlmon. E chi è
Robert McAlmon? È l’amante di Hilda Doolittle, il primo marito di Bryher,
l’autore di Being Geniuses Together, nonché
primo dattilografo per Joyce del monologo finale di Molly. Son cose che, quando
le sai, ti possono cambiare la vita.
Ma dalla lettura del libro di Ellman si evincono anche altre
cose, più importanti di questa. Per esempio che Joyce era umanamente uno
stronzo. Uno che prendeva i soldi in prestito da tutti senza la minima
intenzione di ridarli indietro. Così, giusto perché lui era un genio e gli
altri no. Si scopre anche che molte delle cose che avevi letto nell’Ulisse e che non avevi capito (e ti eri
sentito un cretino) in realtà non nascondevano significati reconditi e
profondi. Erano soltanto dei banali riferimenti alla vita di Joyce, alle
persone di sua conoscenza. In particolare, se c’era qualcuno che gli aveva
fatto uno sgarbo o gli era semplicemente antipatico lui lo puniva mettendolo
nel libro sotto la luce peggiore possibile. Neanche fosse Dante con La divina commedia.
Si scopre anche che non a tutti il libro era piaciuto
subito. La prima edizione dell’Ulisse
uscì in tre versioni. Un centinaio di copie in Holland paper, firmate dall’autore, al costo di 350 franchi; 150
copie in vergé d’arches da vendere a
250 franchi e 750 copie in carta più ordinaria al prezzo di 150 franchi. La
copia che comprò Bryher (ovviamente quella autografa, Bryher era miliardaria)
oggi la trovate in vendita presso Jonkers.co.uk alla modica cifra di 250.000
sterline. George Bernard Shaw invece non fu così lungimirante. “Sono un anziano
gentiluomo irlandese,” scrisse in risposta alla lettera di Sylvia Beach. “E se
lei pensa che un qualunque irlandese, per non parlare di un anziano irlandese,
sia disposto a spendere 150 franchi per un libro, vuol dire che conosce poco i
miei connazionali.” E quando gli fecero notare che anche Ezra Pound ne aveva
comprata una copia, Shaw rispose seccamente: “I take care of the pence and let
the Pounds take care of themselves”.
Emar, Juan
Ayer (1935) – Un año (1935) – Miltín 1934 (1935)
Álvaro Yáñez Bianchi, alias Juan Emar, nasce a Santiago del
Cile il 13 novembre 1883, dunque è cileno. “Todo el mundo en Chile es chileno,
es algo desesperante.” (Miltín 1934,
p. 36). Juan Emar nasce a Santiago e nasce bene, visto che il padre è il
fondatore del giornale La Nación.
Questo gli permette di andare a vivere a Parigi, come segretario
dell’ambasciata, e poi tornare in patria e fare il critico d’arte di un
giornale (naturalmente La Nación). È
qui che nasce il suo pseudonimo Jean Emar (poi Juan Emar) sul calco
dell’espressione francese “j’en ai marre”. Nel 1935 improvvisamente pubblica
tre romanzi: Ayer, Un año e Miltín 1934. Le reazioni critiche sono straordinarie. Non ne parla
nessuno. Come se l’intera classe dei critici letterari cileni fosse stata colta
da un conato d’irreprimibile imbarazzo e di riserbo. Di lì in poi, se si
eccettua una raccolta di racconti del 1937, in tutta la sua vita,
volontariamente, non pubblicherà più nulla. Come se si fosse stancato di tutto
e di tutti. J’en ai marre. Alla sua morte, a Santiago, l’8 aprile 1964, verrà
ritrovato il testo incompleto del romanzo che s’era messo a scrivere in quei
trent’anni di silenzio. Un testo di appena 5318 pagine. Io possiedo soltanto la
prima parte di questo lavoro, El globo de
cristal, che conta soltanto 1113 pagine. Non appena avrò un attimo di tempo
mi metterò anche a leggerlo.
Cosa dire dei tre libri che ho letto di Emar? Che condivido
l’imbarazzo dei critici cileni dell’epoca. Difficile catalogarlo in un genere.
Difficile capire dove volesse andare a parare. Però ci sono alcune cose che mi
restano ben chiare in mente. E sono le seguenti.
1) Uno struzzo può ingoiare letteralmente una leonessa ed
evacuarla di lì a poco quasi senza soffrire.
2) Gli uomini esistono per attraversare vetrine. E una volta
attraversate, consumare film bibite e oggetti vari. Se non esistessero le
vetrine l’umanità si disperderebbe ai quattro punti cardinali e affogherebbe
rapidamente negli oceani o lentamente nelle sabbie dei deserti.
3) Dichiarazione di poetica ripresa da Baudelaire: “À chaque
lettre de créancier, écrivez cinquante lignes sur un sujet extra-terrestre et
vous serez sauvés”. (Emar era ricco e non ha mai avuto problemi di creditori,
nonostante questo ha scritto spesso su argomenti extraterrestri).
4) Antofagasta è una città fatta esclusivamente di lana.
5) Dio assicura che non sono mai giunte alle sue orecchie le
preghiere degli uomini e che le voci sentite da Giovanna d’Arco non erano Sue,
né di nessuno dei suoi familiari. Dio ha due fratelli e una sorella. Nessuno
dei suoi fratelli crede che Dio sia Dio.
6) Se andate alla Taberna
de los Descalzos e scendete nei bagni, troverete degli orinatoi con cinque
fori di scolo messi a croce. L’abilità sta nel passare ciclicamente sui quattro
fori esterni senza mai colpire quello centrale. Ma se per caso sul terzo foro
va a posarsi una mosca allora potrete sperimentare una regressione universale,
si spalancherà di fronte a voi un abisso spazio-temporale al fondo del quale tutto
vi verrà rivelato e tutte le verità si presenteranno chiare e limpide ai vostri
occhi. Disgraziatamente, tornando a casa, non ne ricorderete neppure una.


Nessun commento:
Posta un commento