Ci sono libri difficili da tradurre perché il loro autore si
è preso la briga di renderli tali, piegando a suo piacere il linguaggio. Finnegans Wake, per dirne uno.
E ci sono autori difficili da tradurre (in italiano) semplicemente
perché in italiano vengono male. Uno di questi è Damon Runyon.
“I know Irma Teak when
she is a show doll at the old Winter Garden, and I also know the doll by the
name of Mazie Mitz, who is a Floradora revival, and who makes a score of maybe
three hundred G’s off a guy who has a string of ten-cent stores, and three
hundred G’s is by no means hay. But Mazie Mitz finally hauls off and runs away
with a saxophone player she is in love with and so winds up back of the fifteen
ball.” (Broadway Financier,
compreso nella raccolta More Than
Somewhat)
Questo brano è difficile da rendere in italiano per tre
motivi.
1) Le espressioni gergali. L’edizione
Albatross del 1938 di More Than Somewhat,
quella Imprimé en Allemagne,
quella con la copertina arancione (che sarebbe stata copiata poi pure da
Penguin), quella che riporta Leipzig-Paris-Bologna come luoghi d’origine,
assieme alla scritta “Not to be introduced into the British Empire or the
U.S.A.”, insomma il numero 376 della Modern Continental Library della Albatross
si chiude con un breve glossario a uso di tutti coloro che, pur di lingua
inglese, si fossero trovati in difficoltà con le espressioni gergali usate da
Runyon. Scopriamo così che “Floradora revival” sta per “spettacolo di
burlesque” e che “back of the fifteen ball” vuol dire tornare a lavorare per
meno di quindici dollari alla settimana. Va da sé che in italiano non c’è modo
di rendere queste espressioni se non nella maniera piatta che ho appena citato.
(Per “hay”, invece, si potrebbe usare “briciole” o “brustolini” o un altro equivalente.)
2) Runyon
in tutti i suoi racconti usa quasi esclusivamente il tempo presente. Qui sta parlando dei colpi (scores) messi a segno nel passato da alcune ragazze (dolls) ovvero dei soldi che sono
riuscite a farsi regalare dai loro fidanzati/amanti. Questo non spinge Runyon a
usare il passato remoto o l’imperfetto. Quindi non potete tradurre “Conoscevo
Irma Teak all’epoca in cui faceva la corista al vecchio Winter Garden e
conoscevo anche una pupa di nome Mazie Mitz che lavorava nel Burlesque ecc...”.
Ma vi tocca tradurre: “Conosco Irma Teak quando fa la corista al vecchio Winter
Garden ecc..” Il che non va bene, vi dirà il vostro editore, perché così
l’italiano non scorre e non c’è nulla che rovini il sonno di un editore quanto
la constatazione che l’italiano non scorre, qualunque sia l’originale da cui si
parte.
3) Runyon
non usa mai le contrazioni. Il suo
anonimo narratore racconta quel che vede con l’aria di un bambino innocente, a
volte fintamente innocente, a volte inspiegabilmente innocente (if not outright stupid). Questo vuol
dire che, per quanto usi molte espressioni gergali, non dice mai I’m, It ain’t, I don’t. Al contrario
sillaba per bene tutte le parole come se fosse alle prese con una lingua
imparata in tarda età e quindi dice sempre I
am, It is not, I do not. Considerato che questo tipo di contrazioni in
italiano non esiste, è piuttosto difficile far notare al lettore italiano che
qualcosa che non esiste, effettivamente non esiste. (Da notare che G’s non è
una contrazione ma è il plurale di Grand che equivale a mille dollari.)
Naturalmente l’intraducibile Runyon è uscito (non so con
quali risultati) anche in versione italiana. Dal dopoguerra in poi è Longanesi
a proporlo per la traduzione di Marcella Hannau (ebrea, moglie di Corrado
Pavolini, traduttrice anche di Mansfield, Hammett, Allingham, Stout, ma questa
è un’altra storia...). Oggi comunque fareste fatica a trovare qualcosa di suo
in libreria.
Online si trova invece un bell’articolo di Adam Gopnik
uscito nel 2009 per il New Yorker
intitolato Talk
it up e il testo in inglese di tre raccolte di racconti che vanno sotto
il titolo di Damon Runyon Omnibus
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