mercoledì 31 luglio 2013

Le incoerenze di Pitigrilli





Luigi Filippo aveva detto: «Le rivoluzioni non scoppiano nelle giornate fredde». La rivoluzione che lo rovesciò dal trono e lo costrinse ad andare esule, scoppiò in pieno inverno, uno degli inverni più freddi che abbiano segnato i termometri.
Una delle donne più intelligenti di Francia, Madame de Sévigné (…) aveva scritto nel 1662 che le tragedie di Racine sarebbero passate rapidamente di moda, come sarebbe passata di moda una bevanda che in quel momento faceva furore. «Racine passera comme le café», cioè Racine passerà agli archivi del teatro, si ritornerà al vecchio Corneille e il caffè, entrato abusivamente nei salotti, riprenderà il suo posto nei barattoli delle farmacie fra l'aceto dei sette ladri e il balsamo d'Opodeldoc. (pp. 71-72, L'ombelico di Adamo, Sonzogno 1963)

Non bisogna mai, ne deduce Pitigrilli in questo articolo pubblicato in Argentina dal quotidiano La razón nel luglio del 1949, impegnarsi con delle frasi categoriche.

Pitigrilli è un personaggio strano: antidannunziano all'epoca di Fiume e antifascista della prima ora per diventare poi sinceramente fascista e perfino spia dell'Ovra prima d'incappare nelle leggi razziali, lui che era ebreo per parte di padre e dunque ebreo per nulla, e per tornare poi antifascista, ma durante la Repubblica di Salò, e per finire poi banalmente cattolico nel dopoguerra. Pitigrilli è uno che ha sbagliato sempre i tempi. Provocatorio per professione e incoerente per il gusto di esserlo, codardo quando doveva fare originale e originale quando ormai non c'era più niente da fare. Eppure dotato di una grande facilità di scrittura. Quello che si dice uno scrittore facondo.

E per di più fluviale. (Stavo per scrivere fecondo, ma m'è semprato troppo). L'articolo citato sopra esce su La razón il 13 luglio del 1949. Due giorni dopo Pitigrilli ne firma un altro dedicato alle attrici. Passano altri cinque giorni e ne pubblica un altro ancora, intitolato “L'incontrollabile”, nel quale se la prende con la pittura astratta e in generale con quelle forme d'arte che a suo modo di vedere non si capiscono bene. Che dice così:

Boileau ne «L'art poétique» ha insegnato che «tout doit tendre au bon sens», tutto deve tendere al buon senso, ed Euripide, nelle «Baccanti», raccomanda: «Ciò che la folla più semplice crede e pratica, accettatelo». Dante, Cervantes, Milton, Calderon hanno parlato alla folla semplice e agli uomini di buonsenso. Per questo sopravvivono. Fra un libro di Kafka dove c'è un uomo trasformato non so più se in piattola o scarafaggio, e la vita degli insetti come la racconta Fabre, vivrà più a lungo l'opera di Fabre, perché il presupposto dell'uomo trasformato in scarafaggio si può accettare per un momento tra il caffè e il cognac, ma nessuno ci crede, e solo interessano l'uomo che rimane con la sua intelligenza, o lo scarafaggio che rimane scarafaggio col suo istinto. (p. 85)

Non c'è dubbio, ha ragione Pitigrilli. Non bisognerebbe mai impegnarsi con delle frasi categoriche. Resta tutt'al più un interrogativo: ma chi diavolo è Fabre?

giovedì 25 luglio 2013

Gli intraducibili (1): Damon Runyon


Ci sono libri difficili da tradurre perché il loro autore si è preso la briga di renderli tali, piegando a suo piacere il linguaggio. Finnegans Wake, per dirne uno.
E ci sono autori difficili da tradurre (in italiano) semplicemente perché in italiano vengono male. Uno di questi è Damon Runyon.

“I know Irma Teak when she is a show doll at the old Winter Garden, and I also know the doll by the name of Mazie Mitz, who is a Floradora revival, and who makes a score of maybe three hundred G’s off a guy who has a string of ten-cent stores, and three hundred G’s is by no means hay. But Mazie Mitz finally hauls off and runs away with a saxophone player she is in love with and so winds up back of the fifteen ball.” (Broadway Financier, compreso nella raccolta More Than Somewhat)

Questo brano è difficile da rendere in italiano per tre motivi.

1)   Le espressioni gergali. L’edizione Albatross del 1938 di More Than Somewhat, quella Imprimé en Allemagne, quella con la copertina arancione (che sarebbe stata copiata poi pure da Penguin), quella che riporta Leipzig-Paris-Bologna come luoghi d’origine, assieme alla scritta “Not to be introduced into the British Empire or the U.S.A.”, insomma il numero 376 della Modern Continental Library della Albatross si chiude con un breve glossario a uso di tutti coloro che, pur di lingua inglese, si fossero trovati in difficoltà con le espressioni gergali usate da Runyon. Scopriamo così che “Floradora revival” sta per “spettacolo di burlesque” e che “back of the fifteen ball” vuol dire tornare a lavorare per meno di quindici dollari alla settimana. Va da sé che in italiano non c’è modo di rendere queste espressioni se non nella maniera piatta che ho appena citato. (Per “hay”, invece, si potrebbe usare “briciole” o “brustolini” o un altro equivalente.)
2)   Runyon in tutti i suoi racconti usa quasi esclusivamente il tempo presente. Qui sta parlando dei colpi (scores) messi a segno nel passato da alcune ragazze (dolls) ovvero dei soldi che sono riuscite a farsi regalare dai loro fidanzati/amanti. Questo non spinge Runyon a usare il passato remoto o l’imperfetto. Quindi non potete tradurre “Conoscevo Irma Teak all’epoca in cui faceva la corista al vecchio Winter Garden e conoscevo anche una pupa di nome Mazie Mitz che lavorava nel Burlesque ecc...”. Ma vi tocca tradurre: “Conosco Irma Teak quando fa la corista al vecchio Winter Garden ecc..” Il che non va bene, vi dirà il vostro editore, perché così l’italiano non scorre e non c’è nulla che rovini il sonno di un editore quanto la constatazione che l’italiano non scorre, qualunque sia l’originale da cui si parte.
3)   Runyon non usa mai le contrazioni. Il suo anonimo narratore racconta quel che vede con l’aria di un bambino innocente, a volte fintamente innocente, a volte inspiegabilmente innocente (if not outright stupid). Questo vuol dire che, per quanto usi molte espressioni gergali, non dice mai I’m, It ain’t, I don’t. Al contrario sillaba per bene tutte le parole come se fosse alle prese con una lingua imparata in tarda età e quindi dice sempre I am, It is not, I do not. Considerato che questo tipo di contrazioni in italiano non esiste, è piuttosto difficile far notare al lettore italiano che qualcosa che non esiste, effettivamente non esiste. (Da notare che G’s non è una contrazione ma è il plurale di Grand che equivale a mille dollari.)


Naturalmente l’intraducibile Runyon è uscito (non so con quali risultati) anche in versione italiana. Dal dopoguerra in poi è Longanesi a proporlo per la traduzione di Marcella Hannau (ebrea, moglie di Corrado Pavolini, traduttrice anche di Mansfield, Hammett, Allingham, Stout, ma questa è un’altra storia...). Oggi comunque fareste fatica a trovare qualcosa di suo in libreria.
Online si trova invece un bell’articolo di Adam Gopnik uscito nel 2009 per il New Yorker intitolato Talk it up e il testo in inglese di tre raccolte di racconti che vanno sotto il titolo di Damon Runyon Omnibus